Villa Saffi, scrigno delle passioni del Risorgimento

A Forlì la casa di San Varano dove vissero (tra un esilio e l’altro) e morirono il triumviro Aurelio e la moglie

Se c’è un uomo che riassume in sé tutte le ambiguità e le straordinarie condizioni del Risorgimento romagnolo, quello è Aurelio Saffi: e se cerchiamo una donna, che ne riassuma l’incredibile spinta al cambiamento nei rapporti di genere, esemplare fu Giorgina Craufurd Saffi. Le loro vite, movimentate da continui esilii, da un legame quasi di apostolato con Giuseppe Mazzini, dall’esaltazione della Repubblica Romana del 1849 alla caduta delle speranze dopo i fatti di Aspromonte, ebbero forse un unico solido approdo, un porto in cui sempre ritornarono, ed entrambi finirono i loro giorni, la casa di San Varano a Forlì: lui, il triumviro eletto insieme a Mazzini e Armellini durante la breve esperienza democratica di Roma, morì lì nel 1890, lei, nobile scozzese che aveva sposato insieme al marito anche la causa repubblicana, nel 1911. Vissero entrambi in modo intenso l’adesione alla causa mazziniana: Saffi ne raccolse il testimone e ne curò la pubblicazione degli scritti dopo la morte. Giorgina fece lo stesso con la memoria del marito, ma fu anche per tutta la vita strenuamente impegnata nella costruzione dell’Italia prima e della condizione delle donne poi, come molti uomini e donne britannici, sicuramente influenzati dalla presenza dell’esiliato Mazzini a Londra per quasi tutta la sua vita. E fu proprio l’amante di Mazzini, Giuditta Sidoli, un’altra figura tra le tante di donne che animarono il complesso processo dell’unità d’Italia e che, ahimè, non vengono manco menzionate nei patri libri di Storia, a far legare per sempre la sorte di Giorgina con quella dell’Italia. Questo per evitare fraintendimenti: non fu il marito a rendere patriota Giorgina, tutt’al più fu la sua fede nella causa italiana a legarla al marito, malgrado gli ostacoli posti dal padre che malvedeva la relazione con un rifugiato italiano… va bene la causa, ma prenderci anche le figlie! Per entrare nella mentalità di questa generazione di sovversivi, rifugiati, agitatori italiani, basta ripensare alle ultime parole della cofondatrice della Giovine Italia, la Sidoli appunto, che in punto di morte rifiutò i sacramenti dicendo: «Io credo liberamente nel Dio degli esuli e dei vinti, non in quello imposto dalla Chiesa ». Insomma, non era solo il noto Garibaldi ad essere senza mediazioni nella relazione con la chiesa…

Ecco, visitare queste abitazioni, toccare con mano la sopravvivenza materiale di quel ventoso ottocento che costituì il presupposto di questo Paese che noi oggi abitiamo considerandolo scontato, permette di riavvicinarsi agli umori veri, all’esistenza carnale di uomini e donne che amarono (anche in questo sempre con intensità focosa, come se l’intensità dell’impegno politico si riversasse nella stessa misura nei battiti del cuore) e soffrirono in parti uguali. Non furono insomma solo lapidi attaccate sopra lo stipite di un portone “a futura memoria” degli smemorati.
Passeggiare nel viale sotto i tigli in una domenica primaverile verso la villa è un’esperienza che permette di tornare indietro nel tempo, in quell’ottocento così conteso e così poco romantico in senso tradizionale.
Villa Saffi fu un acquisto del nonno di Aurelio, che la destinò a residenza estiva: le vacanze di questa facoltosa famiglia furono però subito sostituite, o meglio arricchite, dalle riunioni dei carbonari che Aurelio convocava usando il nome in codice “Vendita dell’Amaranto”. La residenza, che conserva notevoli tracce della coppia sovversiva che nell’ultima parte della vita comune ne fece l’esclusiva abitazione, è anche scrigno degli anni a loro successivi che videro, per esempio il nipote Enrico Aurelio Saffi, nato nell’anno della morte del nonno omonimo, a sua volta letterato e animatore culturale di livello nazionale, scegliere sempre questo luogo come exitus, come luogo dell’ultima partenza. Egli scrisse in una sua poesia (era amico di Cardarelli con cui fondò La Ronda): In questo paese della mia adolescenza, che gli occhi/riaccolgono teneramente,/nel mattino penetrante le membra ancor del letto tiepide,/ecco i tuoi occhi nuovi…
E proprio con occhi nuovi si esce dalla visita di questa particolare casa museo, che raccoglie alcuni dei segni lasciati da questa famiglia di fondatori dell’Italia, costituita da un romagnolo e una scozzese. In essa oltre al bellissimo parco, ci sono  anche oggetti che rimandano a un tempo passato di decoro e amore del bello. È dal 1988 che il Comune di Forlì ne ha decretato la destinazione al pubblico e nel tempo il passato si è ricucito con il presente: un fitto calendario di eventi si svolge ogni anno. A volte senza diretta relazione con il tema del luogo, come le Invasioni digitali del 2016, a volte invece diventa collettore di istanze di narrazione alternativa di quello che fu, come l’originalissimo progetto del Liceo Fulceri Paulucci di Calboli che ha visto gli studenti diventare interpreti, più che ciceroni, di performance che permettevano una più diretta esperienza delle vicende che hanno visto questa casa muta testimone. È sicuramente una casa museo che nasconde il dolore, i lunghi esili stranieri, le delusioni politiche che furono lunghe e continue, ma che permette comunque nella sua placidità di percorrere un pezzetto di terra e affetti che costituì forse l’unico focolare certo di chi in quel tempo diviso scelse con certezza da che parte stare.

La visita può essere prenotata qualsiasi giorno della settimana ai Musei di San Domenico, apertura garantita invece ogni domenica. Prenotazioni al n. 0543.712659 (Musei San Domenico)
Info: 0543 712606 / 712609
Villa Saffi: Tel. 0543 479192

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