Alla scoperta di Caryl Churchill con i Bluemotion e la regista Giorgina Pi

La compagnia romana al Rasi di Ravenna con il loro progetto dedicato alla grande autrice britannica: «Nei suoi lavori una politica visionaria, femminista, ambientalista e attenta agli ultimi»

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Una scena da “Settimo cielo”

Da più di tre anni la regista romana Giorgina Pi porta avanti un percorso di riscoperta e valorizzazione del lavoro di Caryl Churchill, tra le più importanti drammaturghe britanniche viventi. Se in patria la Churchill, classe ’38, è considerata quasi l’erede di Pinter, in Italia si è dovuto aspettare il lavoro della compagnia Bluemotion per poter vedere qualche suo spettacolo. Così è accaduto per Settimo cielo, adattamento dell’originale Cloud 9, uno dei lavori più “estremi” e importanti della Churchill, che è stato adattato in italiano per la prima volta dalla compagnia romana, ha debuttato lo scorso febbraio e sarà al Rasi di Ravenna il 4 maggio.

Ma i Bluemotion (nei quali milita anche il ravennate Marco Cavalcoli) sono conosciuti anche per il loro impegno civile: da anni portano avanti la battaglia per tenere aperto lo spazio occupato dell’Angelo Mai, una ferita aperta e mai sanata nel panorama artistico capitolino.

Settimo cielo è una tappa del progetto “Non normale, non rassicurante”, dedicato a Caryl Churchill. Che cosa vi ha colpito della sua opera, al punto da spingervi a dedicare gran parte del vostro tempo all’adattamento dei suoi testi?
«Sì, Settimo Cielo fa parte di questo progetto, pensato dalla studiosa di teatro inglese Paola Bono insieme all’Angelo Mai. Il titolo del progetto è una definizione che la Churchill diede della scrittura drammaturgica e riassume i motivi della nostra passione. Ci troviamo di fronte a testi che impongono continue riflessioni sul presente, all’interno però di una fantasia sfrenata, imprevedibile. La Churchill è stata infatti definita “the mother of reinventions” per la sua capacità proteiforme nel cambiare di testo in testo ambientazioni, costruzioni temporali, esperimenti sul linguaggio. Abbiamo trovato nei suoi lavori una politica visionaria, femminista, ambientalista, attenta ai diritti degli ultimi e alle ferite della storia».
Settimo cielo, che non era mai stato rappresentato in Italia, è stato scritto nel 1979 ed è considerato il capolavoro della Churchill. Ci può raccontare in breve che cosa racconta?
«In Settimo cielo, grazie a una contrazione del tempo, i personaggi vivono prima in epoca vittoriana, nell’Africa coloniale; poi nel 1979, nella Londra swinging della rivoluzione sessuale. Protagonista è una famiglia e il suo entourage: parenti, amici, conoscenti e amanti. Nel primo atto la Churchill usa il cross casting – un uomo interpreta una donna e viceversa, un bianco un nero. Questa prima parte è un girotondo di adulteri commessi e fantasticati, un intreccio di passioni che mette in ridicolo l’ideologia patriarcale e imperiale che li anima. Si ironizza sull’ipocrisia della censura vittoriana dei riferimenti sessuali, che aveva l’effetto collaterale di riempire la letteratura di sottotesti erotici. Si arriva a smentire il carattere trasgressivo dei rapporti omosessuali (incarnati da interpreti di sesso diverso) e a problematizzare quelli eterosessuali (affidati a interpreti dello stesso sesso)».
E nel secondo atto?
«Il cambiamento è la cifra del secondo atto, cercato attraverso la sperimentazione e l’interrogazione di sé. Coinvolge soprattutto quei soggetti che nel primo erano socialmente repressi: le donne e gli omosessuali. In una situazione in cui le concezioni di femminilità e mascolinità cominciano a non essere più rigidamente codificate e sono diventati legittimi orientamenti sessuali diversi, i personaggi si muovono incerti ma pronti a mettersi in questione e reinventarsi nelle relazioni. Soprattutto quelli che, invecchiati di soli 25 anni, portano in loro il vissuto delle norme vittoriane. Più consapevoli, si trovano ancora a dover fare i conti la naturalità di ruoli, comportamenti e inclinazioni dipendenti dal sesso biologico, del colore della pelle, della cultura in cui si è nati».
Dall’Africa coloniale del 1879 alla Londra punk del 1979. Che cosa collega questi due universi così distanti?
«La Churchill scrisse questo testo nel 1979 e fin da principio voleva ambientarne una parte nella sua contemporaneità. Volendo denunciare in Settimo Cielo la pervasività del colonialismo, inteso come esercizio mai estinto di potere storico e patriarcale, scelse di cominciare il racconto con l’Africa Vittoriana. Le sembrò efficace muovere la vicenda un secolo prima, per raccontare come ben poco fosse cambiato».
Per questo ha definito Settimo cielo un’opera di “decolonizzazione”?
«Gli uomini e le donne di questa storia sono dei transfughi, nei secoli e nei luoghi. Soggettività escluse, “impreviste”, per dirla con Lonzi e Fanon, che tentano tra un atto e l’altro un processo di liberazione dal colonialismo imposto sulle loro vite».
Uno dei temi fondamentali di quest’opera è la ridefinizione dei ruoli sociali e delle identità personali. Oggi la politica europea sembra pervasa dalla retorica identitaria, che contrappone un noi a un loro, l’autoctono allo straniero. Come ci parla oggi il testo della Churcill?
«Risuona ancora più potente forse, come le opere dei pensatori a cui fa riferimento: Frantz Fanon e Jean Genet. Quarant’anni dopo resta intatta l’ossessione di controllare i corpi, sempre e violentemente. Resta intatta l’urgenza di difendere la libertà di vivere come si vuole e non come si può. Le politiche del sesso sono tornate centrali per sciogliere ingiustizie di classe e condizionamenti di vita inaccettabili; con esse, le lotte delle donne e uomini dei movimenti LGBTIQ (lesbiche, gay, bisex, transgender, intersessuali, queer N.d.R.). Il rapporto tra sesso e potere attraversa ancora i nostri giorni, molto più di quello tra sesso ed espressione felice di sé. Ciò ci rende autori di quest’opera: del terzo atto, quello mai scritto».
Ha dichiarato che un’aspetto dell’attualità del vostro lavoro sulla Churchill risiede nella possibilità di riflettere sul rapporto fra drammaturgia scritta e drammaturgia scenica. Come si esplicita questa riflessione?
«I testi della Churchill restano sempre una griglia di partenza sulla quale lavoriamo attraverso molte improvvisazioni, ipotesi, scarti e rimontaggi. Un lavoro che a tratti mette da parte il testo per poi riprenderlo e affondare nei suoi meandri. Il testo diventa un oggetto che apre porte e non ne chiude; non limita, ma anzi stimola la creazione. Nei testi della Churchill molto spesso è previsto l’uso di musica e canzoni di cui lei stessa scrive i testi. Considerando che il nostro collettivo è composto da attori e musicisti, questa diventa un’ulteriore condizione di slancio creativo».

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