Lo storico teatro Bonci di Cesena raccontato dal direttore Franco Pollini

«In Romagna tante identità e vocazioni diverse. Ma facciamo fatica a lavorare insieme…»

Franco Pollini ©Ugo Bertotti

Franco Pollini in un ritratto di Ugo Bertotti

Inaugurato durante l’afoso Ferragosto del 1846, il teatro Bonci di Cesena è uno dei teatri romagnoli più antichi ancora in attività. A fianco della biblioteca Malatestiana, il Bonci è il luogo principe della vita culturale cesenate: il suo cartellone spazia dalla concertistica tradizionale alle novità di grido della drammaturgia contemporanea.

Dal 2001 le sue stagioni teatrali sono curate dalla fondazione Emilia-Romagna Teatro, diretta da Claudio Longhi, che gestisce direttamente altri teatri storici emiliani come lo Storchi di Modena e l’Arena del Sole a Bologna; dal punto di vista organizzativo, da più di 30 anni è Franco Pollini, classe ’54, a dirigere il Bonci e a mediare il rapporto fra le esigenze della città ed Ert. L’ho raggiunto al telefono per tirare le fila di questa lunga esperienza e per ipotizzare un paesaggio futuro.

Lei è laureato in filosofia della scienza. Come si è avvicinato al mondo del teatro?
«Sono sempre stato uno spettatore assiduo e appassionato, ancor prima dell’università. Ho scelto filosofia, forse sciaguratamente, poi nei primi anni Ottanta ho dato un concorso per entrare in Comune. Così sono diventato responsabile del settore culturale».
Com’è passato alla direzione del Bonci?
«Il concorso che vinsi comportava anche la gestione diretta del teatro. Per vent’anni ho svolto la funzione di direttore del teatro parallelamente a quella del settore culturale cesenate. Quando il Comune di Cesena scelse di costituire assieme al Comune di Modena la Fondazione Emilia-Romagna Teatro, ho scelto di seguire il teatro perché era la cosa a cui tenevo di più. Così mi sono trasferito, come dipendente, all’interno di Ert».
TB.35ph. G.P. SenniDal punto di vista delle scelte artistiche, come si articola il rapporto fra teatro Bonci e fondazione Ert?
«Ert gestisce il Bonci, come lo Storchi di Modena e l’Arena del Sole di Bologna. Si tratta dei teatri storici più importanti gestiti da Ert, inseriti pienamente in questo sistema diretto da Claudio Longhi. È un progetto artistico che si declina in varie produzioni e ospitalità che riguardano anche Cesena. All’interno di questa offerta, certamente, esiste uno spazio di dialogo e di confronto per tenere conto delle specificità di ogni città».
Ogni pubblico ha esigenze e storie diverse. Quali sono quelle cesenati?
«Oggi i pubblici sono molto simili. Non credo che ci siano grandi differenze fra Modena, Bologna, Milano o Roma. C’è davvero un’omologazione culturale: siamo educati più da agenzie globali (come il web) che dalle istituzioni scolastiche. Poi chiaramente ci sono differenze nelle funzioni dei vari teatri».
Quali?
«Lo Storchi di Modena e l’Arena del Sole sono concentrati, grosso modo, sulla prosa. Il Bonci programma anche stagioni concertistiche e liriche. Abbiamo il dovere di costruire e mantenere un pubblico anche per la parte musicale. Inoltre il Bonci mantiene le funzioni di teatro civico che risponde alle esigenze della città. Ospita conferenze, attività associative e scolastiche. È un’istituzione culturale cittadina, come la biblioteca Malatestiana: per questo le aspettative sono molto alte. La proposta di Ert deve essere adeguata a questa situazione e a un altro tipo di concorrenza».
Quando parla di “diverso tipo di concorrenza” cosa intende?
«A Modena e a Bologna esiste una concorrenza cittadina. Noi abbiamo la concorrenza di altre città romagnole. La Romagna è una megalopoli all’interno della quale ci sono tanti poli con identità e vocazioni diverse: è una concorrenza intra-regionale. Ciò arricchisce immensamente, e allo stesso tempo complica il sistema teatrale romagnolo. Quando Ravenna provò a diventare Capitale europea della cultura, confrontandoci con altri operatori constatammo questa ricchezza e costruimmo un progetto che tenesse conto di questa complessità. Progetto totalmente composto di risorse interne: il mondo culturale romagnolo aveva ed ha grandissime potenzialità».
Cos’è rimasto oggi di quel dossier 2019?
«Poco, nel senso che quelle iniziative non hanno avuto sviluppi. Rimane però la consapevolezza di questa ricchezza e la possibilità di collaborazione fra realtà diverse. Era un progetto importante e per me fu un’esperienza unica: non avevo mai avuto tanti contatti con colleghi di altre città. Questa interazione è stata utilissima per tutti. Rimaniamo sempre romagnoli e facciamo fatica a lavorare assieme».
Come vede il futuro del Bonci dopo la stagione Pollini?
«Il futuro non potrà non passare dalla continuazione di questi percorsi. Il Bonci rimarrà un teatro “civile”, capace di proporre al suo pubblico ogni linguaggio teatrale con una rilevante attenzione al mondo della scuola e della formazione. Sarà un futuro di collaborazione e di coinvolgimento sempre maggiori. L’apertura del Galli a Rimini, ad esempio, è un elemento interessante: si potrebbero fare assieme tante cose. Il punto è lavorare assieme, perché è sempre più difficile trovare risorse. Perciò è fondamentale anche la ricerca di risorse private».
Qual è secondo lei il grande problema del teatro italiano?
«I luoghi dello spettacolo sono spesso inadeguati. Abbiamo tanti teatri all’italiana, delicatissimi, ma troppo grandi per spettacoli di prosa e troppo piccoli per produzioni più importanti. D’altra parte, i nuovi spazi teatrali spesso non funzionano. È una questione complessa. Poi ci sono problemi più specifici: se la concertistica e il teatro musicale vivono un momento proficuo, per il mondo del teatro classico ci sono difficoltà maggiori. C’è innanzitutto il problema di svecchiare la drammaturgia, ma c’è anche un gran bisogno di ricambio generazionale, e ciò vale per compagnie, attori, registi e produttori. Sostituirli non è facile».

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