Soldini: «Raffaello Baldini racconta a tutti, la sua poesia in fondo è universale»

Il celebre regista ai Parlamenti di Aprile con il documentario sul grande poeta romagnolo

Silvio Soldini 2

Silvio Soldini

«Ch’or el? Lé terd!». E le risate del pubblico. Ivano Marescotti, fiero e diretto, con la sua comicità esplosiva, che recita in dialetto Raffaello Baldini. La folgorazione di Gigio Alberti che lo porta in scena in italiano, ammettendo di aver trovato “qualcosa che parla anche di me”, la stralunata e surreale Lucia Vasini, Ermanna Montanari quando dice che i suoi personaggi sono «battiti di farfalle…».

È stato proprio Marescotti, capace di comprenderne a pieno l’opera, a spingere verso il teatro Raffaello “Lello” Baldini, poeta tra i maggiori del secondo ‘900, ancora sconosciuto ai più, che scriveva dello spaesamento e delle nevrosi dell’uomo moderno con pungente ironia e un tocco di malinconia, nella materna lingua di Santarcangelo di Romagna.

Parole, dalla carta alla scena, allo schermo: Silvio Soldini, pluripremiato regista, autore di film memorabili come Un’anima divisa in due o Pane e Tulipani, schivo e misurato, raffinato osservatore sia del lato tragico che di quello comico della vita – come lo stesso Baldini – torna dietro la cinepresa. Lo fa con Treno di parole – Viaggio nella poesia di Raffaello Baldini, un documentario prodotto da TVM Digital Media e Fondazione Cineteca Italiana. Presentato in anteprima alla Festa del Cinema di Roma nel 2018, è il ritratto di un artista gentile, costruito con materiali d’archivio e soprattutto con le parole di chi bene lo ha conosciuto, parenti e amici: da Ermanno Cavazzoni a Vivian Lamarque, dalla figlia Silvia, fino agli attori e registi che lo hanno portato sul palco.

Il 12 aprile – nel corso di “Parlamenti di Aprile 2019”, il ciclo di incontri e seminari ideati dal Teatro delle Albe – Soldini presenterà il film al Teatro Rasi di Ravenna. E così ce ne parla.

BALDINI

Raffaello Baldini

Soldini lei ha più volte dichiarato che l’obiettivo di questo film è quello di far conoscere a più persone l’opera di Raffaello Baldini, spingere la gente a leggere le sue poesie. Dal Festival di Roma ad oggi, può dirsi raggiunta questa meta?
«Non credo. Nel senso che lo hanno visto troppe poche persone, ancora non è passato in tv. Nel suo piccolo sì, molta gente che è entrata al cinema e lo ha visto è uscita con la voglia di scoprirlo, di leggere le sue opere. Però il problema è che è poca gente. È prevista una distribuzione televisiva, certo. Si andrà da qualche parte, ci stiamo lavorando. Anzi ci stanno lavorando, non l’ho prodotto io. Mi piacerebbe che girasse di più ovviamente».
Com’è nata l’idea del documentario, lei come ha conosciuto la poesia di Baldini?
«Il lavoro è nato per volontà di Martina Biondi (ideatrice e co-sceneggiatrice, ndr), è lei che ha avuto l’idea di fare un film su Raffaello. Originariamente doveva essere un film per celebrare il decennale della sua scomparsa, ma non siamo riusciti a montarlo produttivamente in tempo e quindi è stato fatto solo quando abbiamo trovato un produttore, i soldi per farlo. Credo di essere stato tra i pochi che lo conoscevano. Non sono in tanti a conoscere Baldini, ma non perché io sia più intelligente! Ivano Marescotti, con cui ho fatto nel ’90 la mia opera prima L’aria serena dell’ovest quando mise in scena Zitti Tutti! – il primo monologo scritto da Baldini e che Ivano ha contribuito a far scrivere – mi ha invitato a vederlo a Milano. Mi ha molto affascinato, anche se avevo capito ben poco devo dire. Poi però ho letto la traduzione, mi hanno lasciato il libro edito da UbuLibri. Quindi sapevo chi era, avevo letto qualche poesia. Certo non avevo approfondito come ho fatto ora col film».
La psicoterapeuta Anna Fabbrini, tra gli interlocutori del documentario, dice che i romagnoli tra loro si fiutano, la Romagna è un luogo mitico. Quando Marescotti recita Baldini per molti romagnoli è subito casa: il linguaggio dei nonni, l’infanzia in paese, il bar della piazza. Ma cosa dice a lei, nato a Milano, cittadino metropolitano, cosa racconta Baldini a un non-romagnolo?
«Credo che Baldini possa parlare a tutti. Racconta a tutti, è molto universale la sua poesia. Per lui la Romagna è un luogo mitico, il luogo della sua poesia. Lui ha vissuto per la maggior parte della vita a Milano, ma è rimasto là, nel luogo della sua creatività, dove avvenivano queste cose, coi suoi personaggi, che probabilmente derivano dalla sua infanzia. Il problema non è quello che racconta. Il problema è il come: il dialetto scritto non è un veicolo semplice per farsi conoscere. Ma a lui in fondo non importava neanche tanto di essere conosciuto. Addirittura nei sui libri, le poesie non sono col testo a fronte in italiano, per facilitare la lettura a chi non è romagnolo. Il testo italiano è in fondo alla pagina piccolo piccolo. Non è uno scherzo per noi comuni mortali leggerlo (ride, ndr)».
C’è qualche poesia, testo di Baldini che ha orientato il suo lavoro?
«No, non ho preso spunto da una in particolare. Le poesie che abbiamo messo nel film sono di una certa lunghezza: non potevamo permetterci una poesia di 5 minuti. Sono tutte poesie abbastanza brevi, volevamo fare un film snello, che avesse un suo ritmo, che corrispondesse alla musicalità della poesia di Raffaello e quindi che avesse quella sua leggerezza. La sua poesia, nonostante i temi pesanti, è leggera, con un’ironia tutta sua. La cosa principale per me era tenere questa sua visione del mondo. Anche nel mio lavoro. Se si fosse fatto un documentario “pesante” che trattava di Baldini… beh sarebbe stata la cosa più sbagliata».
Un ritmo leggero, che viene anche dalla colonna sonora…
«Si, c’è la parte musicale della questione. Baldini era un grande conoscitore musicale. Sapevamo che gli piaceva Mozart, in particolare “La tartine de beurre” al piano solo, quel pezzettino molto semplice che Mozart ha scritto quando era molto giovane. Lo aveva portato molte volte in radio quando era stato intervistato. Siam partiti da li, con qualche informazione in più sui suoi gusti abbiamo cercato di tirar fuori una colonna che lui avrebbe apprezzato, in sintonia con quello che si diceva prima sulla sua poesia».
Tra le tante testimonianze raccolte, tra i ricordi stanati, quale è quello che più l’ha colpita?
«Uno in particolare no. Se fosse così, sarebbe squilibrato il documentario. Ognuno porta il suo apporto. A secondo di chi è e di come lo ha conosciuto. Quello che posso dire è il modo in cui abbiamo scelto le persone. Erano tante, troppe. Continuavo a dire a Martina “non possiamo mettere 40 persone che parlano nel film!”. Quindi abbiamo dovuto fare una scelta, abbiamo ascoltato anche molti altri non inseriti nel documentario. Ho scelto persone che comunicavano delle emozioni, non solo delle informazioni. Attraverso questo incontro, ricordando Raffaello, possono farlo rivivere con noi, per capirlo un pochino anche umanamente. Ognuno porta un piccolo tassello di questo grande mosaico».

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