Dalle fiction Rai al mondo del lavoro: «Oggi gli sfruttati non si ribellano più»

Il noto attore Lino Guanciale a teatro a Ravenna dal 9 all’11 marzo con La classe operaia va in paradiso

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Lino Guanciale è anche testimonial dell’Unhcr

Porta a teatro storie di lavoro e sfruttamento, si dice radicalmente di sinistra, non ha la televisione in casa e in passato ha rifiutato un lavoro in Mediaset perché non sopportava i conflitti d’interesse di Berlusconi. Difficile credere che sia comunque diventato il volto al momento probabilmente più noto al grande pubblico della fiction in Italia. Lui è l’attore abruzzese Lino Guanciale, 39 anni a maggio, atteso all’Alighieri di Ravenna nell’ambito della stagione di prosa per quattro repliche dal 9 all’11 marzo de La classe operaia va in paradiso, rivisitazione teatrale (proposta proprio dallo stesso Guanciale) del film cult di Elio Petri del 1971 con Gian Maria Volonté.

Com’è stato entrare in un personaggio interpretato da un mostro sacro come Volonté?
«Come affrontare un grande classico, su cui devi fare un lavoro molto tuo. Ho cercato di portare Lulù Massa (il protagonista, un operaio stakanovista odiato dai colleghi, osannato e sfruttato dalla fabbrica, che scopre la coscienza di classe solo dopo aver perso un dito, ndr) più vicino ai nostri giorni, ancora più affiliato ai propri padroni, più scuro, meno simpatico. E comunque (ride, ndr) ci tengo a sottolineare che più che a Volontè, mi sono ispirato in realtà a Liam Gallagher (frontman della rock band Oasis, ndr), un vero working class hero…».
Come avete “aggiornato” invece il tema del lavoro?
«Innanzitutto è bene sottolineare che non si tratta di una semplice riduzione del film a teatro: il film lo abbiamo smontato e rimontato, aprendo squarci su realtà fuori dalla pellicola, mettendo in scena regista e sceneggiatore, filmati con gli spettatori e l’Italia di allora a confronto con gli spettatori di oggi. Abbiamo fatto vedere il film a ragazzi delle scuole, operai e imprenditori e abbiamo registrato le loro reazioni, da cui abbiamo tratto battute per lo spettacolo».
E cosa si scopre parlando con i lavoratori di oggi?
«Che le loro condizioni sono simili a quelle raccontate nel film. La differenza è che all’epoca il proletariato era sfruttato ma anche impegnato in varie forme di protesta. Oggi i lavoratori invece sono sfruttati e basta, e non solo i metalmeccanici. A partire dai ragazzi nei supermercati e nei magazzini fino al caso emblematico dei lavoratori di Amazon, o dei call center. Sono in una condizione più pericolosa di quella dell’epoca perché non esiste una presa di coscienza e quindi non c’è nessuna protesta».
Non si è parlato molto di lavoro, in effetti, nell’ultima campagna elettorale…
«Il tema quando finisce sui mass media viene trattato sensazionalisticamente, magari all’indomani di eventi luttuosi: allora si fanno reportage, speciali, come si parla dell’orso polare che rischia l’estinzione. Il lavoro dovrebbe rientrare di più nel dibattito pubblico, nei talk show, che invece lo evitano perché spesso il tema diventa troppo tecnico e manca il coraggio, in quest’epoca di grande semplificazione. E te lo dice uno che ha fatto cose anche molto commerciali in tv. Il teatro invece rappresenta il luogo ideale per affrontare questi argomenti. Anche il nostro cinema, purtroppo, dal 2000 in avanti non riesce a farlo quasi piu».
Da come parla sembra quasi uno dei pochi ancora di sinistra…
«Sono senza dubbio una persona di sinistra, ho sempre votato per chi a sinistra mi ha convinto di più, in maniera anche radicale. E in questo momento (l’intervista risale al venerdì prima del voto, ndr) sono in ambascia come qualsiasi persona a sinistra: il Pd mi mette disagio con il suo Jobs Act ma c’è una latitanza trasversale della politica su certi temi come lavoro e previdenza sociale. Si preferisce battere altri nodi, che non sono invece in realtà il problema principale,  come quello delle migrazioni, fuorviante in una campagna elettorale davvero seria».
Meglio parlare di fiction, allora…
«Ho cominciato a fare tv seriamente a 33 anni, un’età in cui invece di solito sei bollito per il piccolo schermo e, anomalia nell’anomalia, nell’arco di poco tempo ho ottenuto un grande successo, che mi ha fatto molto comodo anche dal punto di vista pratico, devo dire, quello delle entrate…».
La fermano per strada? Le fa piacere? È diventato un sex symbol…
«Mi fermano soprattutto per “La porta rossa” (serie tv noir-paranormale di Rai 2 in cui interpreta il commissario Cagliostro, ndr), le ragazze dai 25 ai 35 anni in particolare per “L’allieva” (fiction tra il rosa e il giallo andata in onda su Rai 1 con oltre il 20 percento di share, ndr) e le persone più anziane naturalmente per “Che Dio ci aiuti” (la fiction che ha dato una prima popolarità a Guanciale, con protagonista una suora, sempre su Rai 1, ndr). Ma mi fermano anche come avvocato di “Non dirlo al mio capo” (serie tv giudiziaria della Rai che lo vede protagonista insieme a Vanessa Incontrada, ndr)».
Comunque immagino che sia la fase in cui è ancora bello, tutto questo…
«(Ride, ndr) Penso che sarà sempre bello, a parte ovviamente quando i fan sono troppo invadenti. Ma quello che mi fa più piacere è che la gente venga a seguirmi poi anche a teatro, un mondo che non se la passa troppo bene dal punto di vista degli spettatori. Per invertire la tendenza è importante credo che gli attori che hanno successo in tv poi non scordino il lavoro a teatro, anche perché bisogna tornare ad attribuire valore a un’esperienza unica che si vive tutti insieme, attori e spettatori, nello stesso spazio e nello stesso tempo. Si può dire che faccia tv anche con la speranza poi di poter riuscire a portare più persone a teatro…».
Come sceglie i copioni in tv? Dove la vedremo prossimamente?
«Adesso che le cose stanno andando piuttosto bene posso scegliere in base alle possibilità che mi offrono dal punto di vista esclusivamente professionale, di attore. Il 2018 sarà l’anno del “2” visto che andranno in onda Non dirlo al mio capo 2, L’allieva 2 e La porta rossa 2. Poi però lascerò perdere per un po’ la tv, per far rifiatare il pubblico e dedicarmi al teatro ma anche al cinema, per il quale ho molte aspettative per il prossimo futuro».
È vero che ha rifiutato offerte da Mediaset?
«Sì, ho ricevuto offerte importanti ma mi sentivo a disagio da un punto di vista ideologico, visto i conflitti d’interesse dell’allora Presidente del Consiglio Berlusconi. Mi sono sentito in effetti una mosca bianca. Non ho nulla comunque contro l’azienda e senza più conflitto d’interessi non avrei grossi problemi ad accettare».
Le guarda anche, le serie tv?
«Certo, anche solo per dovere professionale. Amo moltissimo Breaking Bad e ritengo un capolavoro e un esempio per tutti Mad Men, che ha creato un nuovo modo di scrivere per la tv».
E Gomorra? Cosa ne pensa del dibattito sulla pre- sunta trasformazione in eroi dei criminali?
«Prima di tutto è bene sottolineare come sia un prodotto di qualità e fattura senza ombra di dubbio, scritto anche molto bene. Quello della costruzione degli eroi del male è in effeti un problema. Bertolt Brecht lo risolse scrivendo una satira comica per descrivere Hitler, per esempio, ma è comunque indubbio che i cattivi, nella realtà, un fascino ce l’abbiano. L’importante è cercare di bilanciarlo, quando lo si mette in tv o al cinema. Ecco, Gomorra non è una serie sempre bilanciata, a mio avviso. Così come l’americano Narcos, che rende un mito una merda come Pablo Escobar. Da attore non puoi far altro che cercare di restituire al meglio la complessità del personaggio, ma mi fosse stato proposto un ruolo in una serie come Gomorra, il problema me lo sarei posto. Che dire, speriamo che presto l’Italia riesca a esportare anche altri prodotti, non solo quelli dove c’è qualche mitra…».

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