Covid, tutto sulle varianti: «Vaccini efficaci. Ma dobbiamo stare attenti…»

 

di Giacomo Farneti *

Giacomo Farneti

Giacomo Farneti

Per vivere bisogna adattarsi. Questa è una delle leggi fondamentali che ha permesso a molte specie viventi, compreso l’uomo, di sopravvivere. Che si tratti di un fenomeno naturale o provocato dall’uomo stesso, il cambiamento permette di reagire a fronte di una nuova situazione e ristabilire una posizione di equilibrio.

I virus – come i batteri – sono microrganismi patogeni, ovvero agenti biologici responsabili dell’insorgenza di infezioni e malattie. Alcuni, come ad esempio il virus dell’immunodeficienza umana (HIV) o come il virus dell’epatite C (HCV), producono milioni di mutazioni virali al giorno in un soggetto infetto, selezionate principalmente per la loro capacità di “ingannare” gli anticorpi e resistere al trattamento terapeutico. Altri, come alcuni tipi di virus influenzali e quelli cosiddetti “a RNA”, come i coronavirus, contengono al loro interno un genoma (materiale genetico) e per questo si evolvono costantemente per resistere all’ambiente esterno.

Le mutazioni del virus SARS-COV-2, cosiddette varianti, sono state osservate in tutto il mondo fin dall’inizio della pandemia; mentre la maggior parte di esse non ha un impatto significativo, alcune possono dare al virus un vantaggio selettivo come una maggiore trasmissibilità, forme più gravi di malattia oppure la possibilità di “aggirare” l’immunità precedentemente acquisita da un individuo o per infezione o per vaccinazione. Nei virus permane una particolare capacità “subdola”: più si replicano e più mutano geneticamente, per questo motivo le varianti diventano motivo di preoccupazione e devono essere monitorate con attenzione, ribadendo il concetto fondamentale – purtroppo ancora poco compreso – che la sorveglianza e la farmacovigilanza sono quanto più attive e presenti in un contesto dove è stato possibile separare i diversi genomi per studiarne le caratteristiche sia per ricercare una terapia mirata sia per adattare i relativi vaccini.

Come è stato possibile? L’ECDC raccomanda di analizzare almeno 500 campioni selezionati casualmente ogni settimana a livello nazionale, in particolare l’I.S.S. ha chiesto ai laboratori delle Regioni e Province autonome (in totale 113) di selezionare dei sotto-campioni di casi positivi e di analizzarli per individuare la presenza della singola mutazione. Nell’ultima indagine condotta, in Italia è stata rilevata la prevalenza della cosiddetta ”variante inglese” nel 91,6% dei casi analizzati, (in crescita rispetto all’86,7% del 18 marzo) con un indice di elevata contagiosità e trasmissibilità, che risulta essere fino al 70% maggiore rispetto agli altri ceppi presenti. Se da un lato recenti studi scientifici (confrontando oltre 23 mila casi di Covid-19 segnalati da settembre 2020 ad aprile 2021) indicano attualmente un calo dei decessi, essi rivelano un rischio di ospedalizzazione triplicato per la fascia d’età 20-39, a causa della scarsa compliance della popolazione.

Riguardo la “variante brasiliana”, invece, la prevalenza era del 4,5%, mentre le altre mutazioni monitorate rimangono sotto lo 0,5%, con pochissimi casi accertati della cosiddetta “variante indiana” e pochi di quella “nigeriana”.

L’aumento della trasmissibilità del virus attraverso le sue mutazioni non è certamente una buona notizia, ma le cose avrebbero potuto essere peggiori: la cosiddetta variante inglese consente al virus di infettare le cellule in modo più efficiente, ma anche di renderlo più vulnerabile agli anticorpi neutralizzanti grazie all’immunità indotta dal vaccino.

Che il virus SARS-COV-2 muti non è di per sé una notizia e per un virus con così rapida diffusione è un fatto scontato; ciò che rimane rilevante e poco sottolineato è il fatto che i coronavirus mutano più lentamente rispetto ad altri virus a RNA, come appunto influenza o HIV.

Un recente studio inglese sembra fornire una rassicurazione, confermando l’analisi attraverso la quale la differenza della sintomatologia nella malattia causata dall’infezione delle diverse varianti non è sostanziale e la mancanza di cambiamento dei sintomi indica che l’appropriatezza dei test, la sorveglianza e le vaccinazioni rimangono estremamente efficaci. Tutti i virus, quindi, incluso SARS-COV-2, mutano nel tempo: l’aspetto positivo per noi è il fatto che la maggior parte di queste mutazioni non hanno un beneficio diretto per il virus stesso e possono anche risultargli sfavorevoli.

Tuttavia le principali riflessioni emerse dallo studio di ricerca raffigurano una copertura vaccinale non ancora sufficiente: la diffusione di varianti a maggiore trasmissibilità può avere un impatto rilevante se non vengono adottate misure di mitigazione adeguate. Al fine di contenerne ed attenuarne l’impatto è importante mantenere l’indice dei contagi a valori che permettano il sistematico tracciamento del maggior numero dei casi positivi. Come? Da un lato dobbiamo continuare a sequenziare il virus per studiare di continuo come cambia, sia spontaneamente che sotto la pressione della vaccinazione, dall’altro – per quanto possa sembrare ripetitivo e ormai scomodo – occorre rispettare le ormai note e semplici regole e misure preventive: distanziamento sociale ed uso corretto dei dispositivi di protezione individuale.

* ricercatore ravennate, responsabile sanitario di Santa Teresa e membro della task force governativa sul Covid 19, esegue studi e ricerche per l’Istituto Superiore della Sanità.

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