«Il teatro è differenza, l’arte è diversità»

Intervista all’attore e regista Maurizio Lupinelli, che coinvolge in laboratori permanenti ragazzi che vivono esperienze di gravi patologie e forte marginalità.

Maurizio Lupinelli

Maruzio Lupinelli (al centro) durante un laboratorio di Nerval Teatro

Non è semplice restituire in poche righe il percorso artistico di un gruppo teatrale. C’è la storia – personale e professionale – dei suoi membri, ci sono gli studi, gli spettacoli, le collaborazioni, i luoghi, gli incontri, gli scambi. C’è una residenza, Rosignano Solvay. C’è un sito web naturalmente.
Il click su “chi siamo” recita “L’associazione Nerval Teatro nasce nel 2007, fondata da Maurizio Lupinelli ed Elisa Pol. Si occupa di ricerca teatrale attenta alle drammaturgie e alle forme del contemporaneo, orientata ad indagare il ruolo sociale e relazionale dell’arte, la sua natura di confine, basata sulla costruzione di comunità interconnesse”. Ma soprattutto: “Il teatro è di tutti, è uno strumento per darsi delle risposte, per confrontarsi con i propri limiti e donarsi alla comunità”. C’è la gentilissima responsabile dei progetti, Ilenia Carrone, che ci permette di raggiungere il fondatore.

Lupinelli, Nerval Teatro ha residenza toscana ma a Ravenna si può dire che siete di casa
«Ho sempre avuto un legame profondissimo con Ravenna, è la mia città. Pur essendo stato lontano per lavoro, ho continuato a vivere qui e a farci ritorno nei momenti di pausa. Inoltre, quando l’esperienza del Laboratorio Permanente a Castiglioncello iniziava a prendere piede – era il 2010 – sono stato chiamato da Ravenna Festival per presentare in città il lavoro che era nato. Anche se la
compagnia è riconosciuta dal sistema dello spettacolo toscano, per me è naturale pensare che le nostre attività arrivino a Ravenna. Un paio di anni fa, il Comune di Ravenna e i Servizi Sociali mi hanno chiesto un progetto sulla diversità e sono stato felice di potere esportare l’esperienza toscana che portavamo avanti con persone diversamente abili.
Inoltre, come Nerval Teatro, assieme alle compagnie Galla e Teo e Lady Godiva Teatro abbiamo in affidamento lo spazio del Teatro dello Zodiaco al Villaggio Anic. E questa è una piccola casa. Insomma, Ravenna è nel mio Dna: lo è per quanto riguarda il mio futuro, ma anche il mio passato, lo è nella relazione che avevo instaurato con i tanti studenti delle scuole elementari e medie incontrati,
attraverso la non-scuola del Teatro delle Albe da cui provengo».

Il 19 novembre alle Artificerie Almagià è prevista la serata “Il teatro è differenza”. Un progetto d’inclusione che nasce…
«Nasce nel 2019, con un prologo al Teatro Rasi, poi il progetto si è fermato per via della pandemia, a giugno di quest’anno siamo ripartiti. La necessità di questo progetto sta negli stessi mondi rappresentati da questi ragazzi specialissimi: è proprio lì il fuoco! Sostengo che l’artista debba andare sempre in fondo, a pasticciare intorno alla propria ferita. Queste persone in qualche modo sono dei feriti. Nel momento in cui praticano questa esperienza, per loro è veramente un gioco, una necessità: vengono fuori cose importantissime e allo stesso tempo foriere di visioni e immagini. Hanno la possibilità di trovare degli sbocchi e anche delle illuminazioni rispetto all’oggetto dell’arte, dell’opera. Noi lo facciamo con il teatro, ma a volte i ragazzi sanno anticipare strade teatrali che io che sono un attore e un regista impiego più tempo a trovare. In questi anni ho visto come il risultato del loro lavoro abbia una sua identità precisa all’interno dell’arte. È molto semplice, più di tutte le mie parole».

Ferita è una parola che usa spesso. Non a caso il libro pubblicato da Hoepli sul suo lavoro è intitolato La ferita dentro il teatro di Maurizio Lupinelli. Fare teatro è mettere a nudo una ferita?
«Fare teatro non è solo mettere a nudo una ferita, è costruire un mosaico che non c’è. Io sono un autodidatta che ha iniziato a lavorare senza avere né arte né parte: mi sono confrontato con qualcosa che avevo dentro e che mi diceva che qualcosa non andava. Allora mi sono fermato, ho cercato e ho incontrato il teatro. L’ho incontrato nelle periferie, nelle scuole, nella diversità, perché l’arte è diversità. È un mondo dove occorre addentrarsi e cercare la luce. Brecht diceva che l’arte è come essere dentro una stanza, chiudere la porta a chiave, buttare la chiave e trovare l’uscita. Mi rappresenta molto questo punto di vista e rappresenta perfettamente il mio percorso. Si deve andare alla ricerca della diversità e della ferita sapendo che in quello che si troverà non è mai tutto giusto, ma contiene sempre qualcosa di sbagliato».

A marzo tornate in città, all’Alighieri, con Le lacrime amare di Petra Von Kant di Fassbinder, che prima di essere il famoso film del ’72 era una pièce teatrale. Quanto è attuale il discorso di Fassbinder sui rapporti di potere nelle relazioni amorose? Come avete lavorato per il vostro allestimento?
«Oltre al percorso dedicato alla diversità, la compagnia ha sempre avuto uno sguardo verso la drammaturgia tedesca, in particolare Fassbinder. Sono vent’anni che attraverso questo autore e Le lacrime amare di Petra von Kant era uno di quei testi che da tempo volevo mettere in scena e ci sono riuscito, al di là della pandemia. Amo molto le connessioni che sa creare Fassbinder, quella tra potere e amore è stata la mia grande direttrice per questo spettacolo. Ho adottato uno sguardo interiore al femminile: non solo tutte le componenti del cast erano donne, ma mi interessava molto portare il mio terzo occhio verso una prospettiva femminile. La cosa che mi sono divertito a fare è stata quella di cercare di mettere tutto in un movimento fatto di sguardi ambigui e trattenuti, immerso in un’atmosfera fredda, gelida e misurata. Il mio immaginario, ovviamente, si rifà anche alla filmografia di Fassbinder: mi ha influenzato notevolmente rispetto alla messa in scena. Una cosa importante è che abbiamo lavorato tantissimo con le attrici: cosa vuole dire il rapporto odio-amore in Fassbinder? Dove sta? Nelle parole? Nel corpo? Negli sguardi? È questo il lavoro che abbiamo fatto, e ci abbiamo messo due anni».

Il vostro nome viene da Gérard de Nerval vero? Perché l’avete scelto?
«Gérard de Nerval ha scritto molto e ha avuto una vita molto particolare, è stato trovato impiccato nel giardino delle Tuileries a Parigi. Nonostante le sue difficoltà, è riuscito a scrivere molto e a scrivere anche per il teatro. Al pari di Jarry che andava in bicicletta nel suo appartamento, anche Nerval ha iniziato a fare teatro nel suo appartamento, dove invitava amici e spettatori per condividere le creazioni. Questa cosa ci ha sempre divertito. Nonostante fosse una persona difficile, aveva un rapporto con l’altro di grande apertura e sensibilità: sapeva di essere malato di nervi, ma cercava, come un altro grande del Romanticismo tedesco Hölderlin, di scrivere nonostante la malattia incombesse. Ecco perché Gerard de Nerval»

 

La presentazione il 19 novembre all’Almagià

Venerdì 19 novembre alle 18 all’Almagià (ingresso gratuito) sarà presentata alla città di Ravenna l’esperienza del laboratorio permanente “Il teatro è differenza”, progetto di inclusione sociale con persone diversamente abili, ideato e curato da Nerval Teatro. Sarà l’occasione anche per mostrare tre frammenti teatrali che vedono come protagonisti i tre gruppi di partecipanti ai laboratori che stanno seguendo un percorso ispirato al drammaturgo e scrittore Samuel Beckett.
A Ravenna, il progetto “Il teatro è differenza” ha preso avvio nello scorso giugno dalla convergenza e dall’impegno di diversi soggetti: oltre a Nerval Teatro va segnalato l’impegno del Comune di Ravenna e quello delle tre cooperative sociali San Vitale, Selenia e La Pieve.
Il progetto rappresenta, per la città di Ravenna, una sorta di “numero zero” che viene proposto a partire dal successo dell’edizione toscana che, nel corso di 15 anni di attività, è divenuta un’esperienza consolidata coinvolgendo oltre 250 persone del territorio della bassa Val di Cecina, proponendo laboratori e incontri che si protraggono a cadenza mensile, nel segno di un’attività stabile e duratura nell’anno.

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