Da Woodstock al Jova Beach Party, ma quanto è green la cultura rock?

A proposito (e intorno alle polemiche) del concerto di Jovanotti, il prossimo 8 e 9 luglio sulla spiaggia a Marina di Ravenna

Discorso Di Apertura Di Swami Satchidananda A Woodstock

Discorso di apertura di Swami Satchidananda a Woodstock (1969)

La tre giorni di pace, amore e musica nel 1969 fu «…l’inizio di una nuova civiltà o i sintomi di una morente?». E certi raduni musicali di oggi non rischiano di essere fenomeni greenwashing? Se lo domanda in questo documentato intervento la nostra collaboratrice Marina Mannucci

«Ehi gente, mi tocca proprio dire che dovete essere il mucchio di persone più forte che abbia mai visto: tre giorni, gente, tre giorni! Vi amiamo. Andate a dire loro chi siamo». Così parlò Stephen Stills. «Lo sentiranno chi siete», mormorò Graham Nash, seduto alla sua destra. «Lo sapranno tutti, se cantate», aggiunse David Crosby. Erano le 3 di mattina e di fronte avevano qualcosa come 400mila giovani radunatisi a Bethel, località di campagna a Nord di New York. Dal 15 al 17 agosto 1969 si tennero i «tre giorni di pace e musica» che sconvolsero il mondo, una comune temporanea che ebbe come inno The Star Spangled Banner nella versione elettrica di Jimi Hendrix. Sul palco salirono gli Who, Joan Baez, Crosby, Stills & Nash, Janis Joplin, Grateful Dead, Jefferson Airplane e tanti altri/e.

Un anno dopo, nel 1970, l’evento verrà celebrato dal documentario Tre giorni di pace, amore e musica diretto da Michael Wadleigh, Thelma Schoonmaker e Martin Scorsese, realizzato montando immagini girate durante il concerto stesso e interviste a organizzatori, addetti ai lavori, pubblico ecc. Nel 1971 vincerà l’Oscar come migliore documentario.
Nel 2019 lo storico e premio Pulitzer Jon Meacham e il cantante Tim McGraw pubblicano il libro Songs of America: Patriotism, Protest, and the Music that made a Nation (Random House, 2019), in cui raccontano di come le canzoni, in America, siano sovente state specchio di un sentimento ambivalente: «il patriottismo celebra e commemora; la protesta critica e corregge. Le due cose sono strettamente legate e sono necessarie l’una all’altra come le ali per un uccello, perché è solo grazie ad entrambe che la nazione può librarsi in volo».

L’attivista Abbie Hoffman nel libro Woodstock Nation: A Talk-Rock Album (Random House, 1969), pone una serie di interrogativi riguardo al “mitico” concerto: «Eravamo pellegrini o lemming? È stato l’inizio di una nuova civiltà o i sintomi di una morente? Stavamo edificando una zona liberata o entrando in un campo di detenzione?». L’autore è in parte consapevole del fatto che gli «avvoltoi della cultura» stavano sfruttando gli “ambienti” giovanili e ottenendo un profitto programmato e studiato, con il rischio che la cultura hippie e quella afroamericana venissero assorbite dal sistema per diventare fonte di guadagno, perché si accorse che il capitalismo aveva iniziato a incorporare il linguaggio della Sinistra e il suo immaginario.
Ancora Abbie Hoffman così polemizza riguardo al documentario nella sua autobiografia pubblicata nel 1980: «Fred Weintraub, il dirigente della Warner Brothers, responsabile del film su Woodstock, mi ha confessato che hanno deciso di “purgare” dalla versione di celluloide tutto quanto sapesse di politica. […] E così mentre il mio libro dipingeva Woodstock come un grande grido di battaglia per legalizzare l’erba, fermare la guerra e combattere una cultura decadente, il film decantava il potere del rock e la bontà del capitalismo. Soltanto gli ex radicals come Fred Weintraub, Jann Wenner, che s’è fatto le ossa a “Ramparts”, e Bill Graham, che ha iniziato con la San Francisco Mime Troupe, sono stati abbastanza furbi da capire sin da subito che il rock poteva svolgere un importante ruolo politico. Degni avversari nella battaglia per i cuori e le menti dei giovani, costoro hanno vinto a mani basse la guerra d’immagine di Woodstock».

A circa mezzo secolo di distanza i/le giovani continuano a trovare nella musica uno strumento di identificazione, di aggregazione e, talvolta, di liberazione dalle ansie e dai conflitti. Le ibridazioni musicali e artistiche rappresentano un indicatore delle trasformazioni socio-culturali in atto ed è, altresì, quanto mai attuale e centrale il dibattito che riguarda le grandi manifestazioni e, come queste, attraverso i mezzi di comunicazione di massa, la commercializzazione e i processi a essi connessi, possano trasformarsi anche in “opportunità per incorporare le sottoculture” in una cultura dominante che le assorbe, demolendole di fatto. Negli ultimi anni si stima che più di 4.000 artisti, professionisti e organizzazioni del settore musicale, tra cui i Radiohead, i Pretenders, gli U2, Billie Eilish, Giorgia, Simone Cristicchi, Ligabue, Tiziano Ferro, ma anche gli Abbey Road Studios, i Warner e Universal Studios, il Ferrara Buskers Festival, hanno manifestato il bisogno di dare una risposta all’emergenza ambientale per tentare di salvaguardare il pianeta.

La band italiana Têtes de Bois, di musica d’autore in stile folk rock, ha trasformato i propri concerti in azioni comunitarie raggiungendo il palco in bicicletta mentre gli spettatori davano il loro contributo alimentando luci e amplificazioni pedalando.

Nel 2019 il gruppo britannico Coldplay, agendo con uno spirito realmente attento alla crisi climatica, annunciava che non avrebbero più suonato dal vivo le canzoni del loro ultimo album Everyday Life per prendersi il tempo di riflettere sulla possibilità di andare in tournée senza incidere sull’ambiente escogitando un metodo che permettesse la realizzazione di concerti a impatto zero. Si sono presi una pausa lanciando un messaggio forte: l‘emergenza ambientale, prima di tutto. Prima della visibilità, prima dei guadagni, prima del concerto stesso. «Vorremmo che il nostro prossimo tour fosse a emissioni nette zero», ha spiegato Martin. «La maggiore difficoltà sono i voli aerei. Il nostro sogno è fare concerti senza plastica monouso e alimentati in gran parte con energia solare». Con il nuovo album Music of the Spheres, uscito il 15 ottobre 2021, i Coldplay hanno previsto un tour mondiale in programma per il 2022 con trenta date, caratterizzate da iniziative green e dal basso impatto ambientale.  «Siamo consapevoli – si legge nell’annuncio di Instagram – che il pianeta sta affrontando una crisi climatica. Quindi abbiamo trascorso gli ultimi due anni a consultarci con esperti ambientali per rendere questo tour il più sostenibile possibile e, cosa altrettanto importante, per sfruttare il potenziale del tour per spingere avanti le cose. Non riusciremo a fare tutto bene, ma ci impegniamo a fare tutto il possibile e a condividere ciò che impariamo. È un lavoro in corso e siamo davvero grati per l’aiuto che abbiamo avuto finora».

Ecco alcuni dei loro impegni per il loro tour in corso: ridurre le emissioni di CO2 del 50% rispetto al tour più recente della band (2016-2017); alimentare lo spettacolo completamente con energia rinnovabile, sfruttando l’energia solare e l’energia cinetica alimentata dai movimenti dei fan (attraverso un pavimento cinetico e delle biciclette); assorbire una quantità di CO2 significativamente maggiore di quella prodotta dal tour con una varietà di soluzioni basate sulla natura e sulla tecnologia, incluso piantare un albero per ogni biglietto venduto; attraverso un’app ufficiale del tour, incoraggiare i fan a utilizzare il trasporto meno inquinante per arrivare agli spettacoli, premiando con sconti coloro che lo faranno; garantire che tutto il merchandising del tour sia ottenuto in modo sostenibile, etico e plastic free; niente bottiglie di plastica usa e getta, in ogni data si offrirà acqua potabile gratuita e si inviteranno i fan a portare le loro bottiglie riutilizzabili; mettere il 10% di tutti i profitti in un fondo per cause ambientali e sociali, tra cui ClientEarth, One Tree Planted e The Ocean Cleanup; inoltre, i fan che dimostreranno – tramite un’app apposita – di aver fatto viaggi a basse emissioni di carbonio riceveranno uno sconto all’ingresso e i braccialetti che indosseranno ai concerti saranno realizzati con materiali compostabili. Il palco è costruito con materiali riutilizzabili e sostenibili tra cui bambù e acciaio riciclato. Il percorso del tour è stato studiato per ridurre al minimo gli spostamenti tramite aereo e i componenti della band si sono impegnati a corrispondere un supplemento alla compagnia aerea affinché sia utilizzato un carburante più sostenibile. Anche i coriandoli usati per gli spettacoli sono biodegradabili.

Queste sono solo alcune delle iniziative con cui i Coldplay intendono dimostrare quanto l’arte e gli/le artisti/e possano fare per l’ambiente, con la speranza che la loro sostenibilità possa essere presa da esempio da tutte le band in tutto il mondo. È apprezzabile che il mondo della musica avanzi proposte e realizzi obiettivi che tendono a una nuova modalità di creazione/fruizione dell’esperienza musicale. Manifestare il proprio operato per il bene dell’ambiente consente di dare l’esempio e offrire spunti per lavorare in una direzione sempre più green. Di contro, l’attenzione verso la crisi climatica in corso porta con sé fenomeni di greenwashing: neologismo inglese tradotto come ecologismo o ambientalismo di facciata che indica la strategia di comunicazione di certe imprese, organizzazioni o istituzioni politiche finalizzata a costruire un’immagine di sé ingannevolmente positiva sotto il profilo dell’impatto ambientale, allo scopo di distogliere l’attenzione dell’opinione pubblica dagli effetti negativi per l’ambiente dovuti alle proprie attività o ai propri prodotti.

Jova Beach Party Lido Degli Estensi 2019

Jova Beach Party, Lido Degli Estensi, 2019

La nuova edizione del tour musicale Jova Beach Party che vedrà Lorenzo Cherubini esibirsi sui palchi delle principali città italiane, farà tappa nei giorni 8 e 9 luglio prossimi nella spiaggia di Marina di Ravenna e si prevede un afflusso di circa 80.000 persone, in un’area di 30.000 metri quadrati. In autunno sono previsti, inoltre, due concerti a Roma e a Milano che verranno realizzati per il progetto ambientale RI-PARTY-AMO, presentato recentemente all’Università degli Studi di Milano Bicocca e nato dalla collaborazione tra il Jova Beach Party, Intesa Sanpaolo e WWF Italia.
«L’obiettivo è rendere i giovani, le scuole, le famiglie, le aziende e intere comunità, protagonisti della salvaguardia e del restauro della natura d’Italia». In una campagna di raccolta fondi attiva su piattaforma di crowdfunding, a oggi, sono stati donati circa 3 milioni di euro che saranno utilizzati per pulire 20 milioni di metri quadri di spiagge, laghi, fiumi e fondali; per realizzare 6 macro azioni di ripristino degli habitat; organizzare 8 incontri nelle università italiane e numerosi workshop nelle scuole capaci di coinvolgere un totale di 100.000 studenti.

Le critiche sollevate dalle associazioni ambientaliste al progetto di Lorenzo Cherubini riguardano la scelta di realizzare i concerti a stretto contatto con la natura perché, nelle precedenti edizioni, migliaia di persone hanno, inevitabilmente, calpestato dune e piante, ballato e cantato su musica a tutto volume nei luoghi dove nidificano anche alcune specie protette.
Ancora una volta si rischia che idee, entusiasmi, progetti – anche meritevoli – si trasformino in opportunità per incorporare le sottoculture in una cultura dominante che le assorbe, demolendole di fatto. Un’alternativa semplice, ovvia e concreta consisterebbe nel realizzare i concerti all’interno di teatri, palazzetti, stadi indoor, dove l’acustica è ottima e l’organizzazione può essere più fluida su tutti i fronti. Una soluzione, realmente ambientalista che dovrebbe essere proposta con impegno e convinzione a partire dalle istituzioni pubbliche chiamate a stipulare accordi di compartecipazione con l’organizzazione di grandi eventi.

Raccolgo, infine, l’idea espressa, nel volume Passioni e politica (Einaudi, 2016) da Paul Ginsborg (recentemente scomparso) e Sergio Labate, riguardo la necessità dell’impegno indispensabile di ognuno/a di noi per difendere il bene pubblico/i beni comuni, così come la necessità di salvare dalla ormai dilagante dittatura del mercato almeno le passioni, che sono il motore stesso dell’azione pubblica di singoli/e e quindi la possibilità più concreta di cambiamento. Il rock può e deve essere green, gli/le artisti/e, con i loro linguaggi, nell’arco della storia, hanno spesso avuto il coraggio e la forza di dare voce a denunce che hanno saputo risvegliare le coscienze critiche.

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