Bottaro: «Un nuovo legame tra la città e le società sta portando entusiasmo»

Oggi è responsabile organizzativo delle 18 Nazionali italiane di calcio, ma la carriera del dirigente ravennate ha toccato tutte le squadre locali e non solo: «Era giusto riportare il volley al Pala De Andrè. Azzurri al Benelli? Forse per l’Europeo U21 del 2019. Il boom del basket? Applausi al presidente»

Giorgio Bottaro a Coverciano

Dal Basket Ravenna al Porto Volley Messaggero, dalla Teodora al Parma Calcio, dalla Lube Macerata alla Sparkling Milano Volley, dalla Virtus Pallacanestro Roma per approdare oggi alla Figc, passando dal Ravenna Calcio e dalla Piero Manetti Basket. Chissà quante volte nella sua carriera avrà girato l’Italia, Giorgio Bottaro, apprezzato dirigente ravennate nel settore dello sport. «E adesso – sottolinea – ho ricominciato a girare per il mondo. La settimana scorsa sono stato in Corea, mentre in futuro dovrò andare alle Bahamas, in Polonia e in Olanda. In un anno le nostre nazionali giocano circa 180 partite, in pratica una ogni due giorni. È necessario organizzare tutto, nei minimi dettagli».

Bottaro, dal 2015 lei è il responsabile organizzativo del “Club Italia”, cioè dell’organismo che racchiude tutte le squadre azzurre, dalle maggiori alle giovanili. Come è questa esperienza?
«Tra maschile, femminile, beach e calcio a 5, sono 17 le formazioni da seguire, 18 quando ci sono le Universiadi. È una bella avventura, molto impegnativa, in quanto bisogna curare degli aspetti gestionali e amministrativi molto complessi. Per fortuna posso contare su una struttura fatta da persone giovani, competenti, brave. Si tratta di uno staff di alto livello, stimato in tutta Europa».

Dopo essere tornato a Ravenna per qualche anno, ha deciso di ritornare anche a Roma. Come è cambiata la sua vita?
«Mi ero ripromesso di non venire più a Roma e la prima cosa che ho fatto quando sono arrivato di nuovo qui è stato di prendere un appartamento a trecento metri dalla sede della Figc (ride, ndr). È un lusso, ma non volevo più ripetere l’esperienza ai tempi della Virtus Pallacanestro, dove passavo gran parte della giornata in auto o nei mezzi pubblici. Comunque, passando da un contenitore a misura d’uomo come Ravenna a uno enorme e dispersivo come quello della capitale, la mia vita si è rivoluzionata. Appena posso il venerdì sera prendo la macchina, scappo e vengo a casa. È da un mese, però, che non lo riesco a fare».

La sua ultima attività professionale a Ravenna è stato alla Piero Manetti Basket. Come giudica il boom che sta vivendo la squadra ora in A2?
«È stata un’esperienza molto bella, durante la quale ho ricevuto molto di più di quello che ho dato. Sono stato a contatto con gente competente e seria, e il frutto di tutto ciò è stato raggiungere la Serie A2 e soprattutto consolidarsi come società. Gran parte del merito è del presidente Roberto Vianello, bravissimo a tenere dritta e ben salda la barra del comando quando, nelle categorie minori, si era lontano dai riflettori. Adesso, quando vedo le partite su Sky o gli articoli sulla Gazzetta, mi rendo conto davvero dove questa realtà sia arrivata».

Secondo lei cosa ha provocato tutto questo seguito da parte della città?
«Il segreto sta nel dialogo che c’è stato e che continua a esserci da parte del club con le famiglie ravennati. Questo ha portato a un altissimo numero di praticanti, facendo diventare la pallacanestro un fenomeno sociale. Solo il settore giovanile del Basket Ravenna conta circa 450 ragazzi tesserati: un’enormità in una città piccola come la nostra. È uno sport che piace e lo si vede dal proliferare di campi e campetti che ci sono a Ravenna, dalla Darsena fino alle altre zone del centro e della periferia».

Passando al calcio, anche attorno alla squadra della città sta rinascendo un certo entusiasmo. Se lo sarebbe aspettato, solo qualche anno fa?
«L’ultima volta che sono venuto a Ravenna non ho perso l’opportunità di assistere alla partita con l’Adriese, vinta 2-0. Mi è piaciuto come ha giocato la squadra, ma soprattutto l’ambiente. Non è facile mantenere stabile un’organizzazione societaria e il presidente Alessandro Brunelli lo sta facendo già da cinque anni, che non sono pochi. Questo, più che i risultati sul campo, è il traguardo più importante, perché è solo dalla continuità della gestione che nascono i progetti duraturi».

È possibile, un giorno non troppo lontano, vedere una squadra azzurra disputare una partita allo stadio Benelli?
«Questo faccio fatica a prevederlo, ma la città può giocarsi le sue carte in vista dell’Europeo Under 21 che si terrà un’Italia nel 2019. Si tratta di una manifestazione molto importante e Ravenna ha tutte le caratteristiche per diventare la sede del ritiro e degli allenamenti di una nazionale partecipante».

Ravenna, storicamente parlando, è soprattutto “volley city”, con la Bunge che è l’unica squadra della città a partecipare a un massimo campionato.
«L’avvento di Marco Bonitta come direttore generale ha portato competenza e una maggiore identità territoriale al Porto Robur Costa. È un piacere vedere un ravennate al comando: sta ricoprendo un ruolo nuovo per lui, ma mi sembra che lo stia facendo con impegno e passione, anche se non è facile fare i conti con i costi e l’organizzazione globale di un club. A differenza di chi l’ha preceduto, Marco ha un’ottica diversa nel vedere le cose, in quanto Ravenna fa parte di lui. È una persona che ha le qualità per raggiungere ottimi traguardi e faccio il tifo per lui».

Come giudica la scelta di riportare la squadra a disputare le partite al Pala De André?
«Tornare a Ravenna era un passo necessario, quasi obbligato, perché va bene intraprendere sinergie con altre piazze o club, ma la squadra deve giocare nella sua città. Non so quali siano state le scelte che hanno spinto a trasferirsi negli anni passati a Forlì, ma di sicuro il ritorno a Ravenna ha riportato un grande entusiasmo».

Cosa ha spinto il Bottaro giovane, quello che appena ventenne iniziò una carriera giornalistica a Radio Sound e al Nuovo Ravennate, a diventare il Bottaro di oggi?
«La prima cosa, quella più importante, è stata sempre la curiosità di guardare avanti, di guardare cosa c’è dietro l’angolo, senza fermarsi mai. Non mi ha mai spaventato andare via dalla mia città o, in seguito, dal mio posto di lavoro, per guardare cosa c’è da un’altra parte. E poi ho sempre mantenuto un approccio umile alle nuove situazioni, con tanta voglia di imparare e di ascoltare. Me lo ho insegnato lo sport a 17 anni, me lo ha insegnato il mio vecchio coach Lelli. Quando, giocando a basket, vedeva che io e miei compagni sbuffavamo perché ci obbligava a palleggiare a lungo con la mano sinistra, ci diceva “guardate i giocatori di Serie A, i Riva, i Marzorati e vedrete che sono quelli che si allenano di più”. Si può continuare a imparare indipendentemente dall’età, se si vuole restare i tra i più bravi».

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