Giusti è la storia del ciclismo ravennate: pedala da 70 anni e non vuole smettere

Cominciò con i documenti truccati: «Allenamenti alle 4.30 poi alle 8 al lavoro». Quando rifiutò il doping finì la sua carriera agonistica e iniziò quella da dirigente: «Quella volta con Merckx…»

Giusti Da Giovane

Giusti da giovane

Quando apre gli album delle fotografie, guardando le immagini di una vita in bicicletta, gli brillano gli occhi in un misto tra orgoglio e divertimento. Non ha nostalgia del passato, però, e dalle sue parole si capisce come la pedalata più bella sarà sempre la prossima. «Adesso sono fermo per un piccolo problema fisico, ma tra qualche settimana tornerò in sella».

A quasi 88 anni, anche se non lo ammetterà mai per via della sua umiltà, Franco Giusti “è” il ciclismo ravennate dal secondo Dopoguerra, in virtù della sua esperienza prima da dilettante, poi da amatore e infine da dirigente. Il tutto con un unico denominatore comune, la passione per le due ruote, che gli ha permesso di conoscere i grandi protagonisti di questo sport.

«Sono nato nel ’31 a Villanova di Bagnacavallo – inizia a raccontare – ma dopo sei mesi ci trasferimmo a Ravenna. Mio padre lavorava al Genio Civile, mia madre faceva la bracciante a Mezzano. Finita la guerra cominciai a frequentare i Salesiani, dove salii per la prima volta in bicicletta. A 15 anni partecipai ad alcune gare “libere”, nel senso che ognuno utilizzava la propria bici normale, senza essere tesserato. Mi iscrissi così alla Garibaldina, ma ero ancora troppo piccolo per correre negli Allievi, quindi mi truccarono il documento. Poi passai al Pedale Ravennate del mio maestro Celso Minardi, cominciando a vincere».

Giusti Oggi 1

Franco Giusti oggi

Una passione, quella per il ciclismo, che però si scontrava con la vita di tutti i giorni. «Terminai presto di studiare, iniziando a lavorare giovanissimo, e quindi per potermi allenare mi alzavo alle 4.30 del mattino. Facevo un centinaio di chilometri e alle 8 mi presentavo alla Padana di Macinazione, dove trovai il mio primo lavoro. A 16 anni mi trasferii al Corriere Romagnolo e in seguito alla Messaggeria Emiliana, facendo lo spedizioniere».

Nel frattempo, sul fronte del ciclismo, crescevano le soddisfazioni. «Ero un buon velocista e vincevo parecchio. Quando correvo nei Dilettanti, i miei avversari tiravano come dei matti per lasciarmi indietro. A me piacevano i sacrifici e non mi pesava la fatica, ma purtroppo soffrivo le corse lunghe, quelle dai cento chilometri in su. Siccome andavo forte, mi consigliarono di prendere qualcosa che mi “aiutasse”, ma io non andai oltre alle vitamine. Non riuscii così a compiere il salto di qualità e fui escluso dalla lista regionale dei ciclisti più forti. A 22 anni chiusi la carriera all’As Godo».

Giusti Al Centro Con Bugno A Sinistra E Cassani A Destra

Giusti con Bugno e Cassani

Il ritiro dall’agonismo non spense l’amore di Giusti per la bicicletta. Anzi. «L’amico Minardi mi diede la possibilità di restare nell’ambiente facendomi allenare gli Allievi del Pedale Ravennate, mentre nel 1970 mi prestò una bicicletta che era nel suo negozio in Piazza Kennedy, che pagai qualche mese dopo. Dopo 15 anni tornai a fare delle corse da amatore, gareggiando in tutte le categorie, dai Senior fino ai Veterani. Ho vinto tantissime gare fino a quando, attorno ai 50 anni, mi sono fermato di nuovo a lungo per un bruttissimo incidente in volata, che mi causò delle fratture al naso e alle braccia».

Da qui inizia una “nuova” carriera, dietro alla scrivania. «Assieme ad altri appassionati creai l’associazione Cicloturisti Pedale Ravennate, che mi permise di tornare alle gare fino a quando ho avuto 70 anni. Eravamo associati all’Udace, di cui in seguito sono diventato responsabile provinciale, che di recente è stata assorbita dall’Acsi, di cui anche adesso sono presidente. Negli anni Settanta erano affiliate più di trenta società, per circa mille tesserati, oggi ne sono rimaste 12, per un totale di 350 iscritti. Erano altri tempi».

Un’attività, quella da dirigente, che ha permesso a Giusti di incrociare tanti protagonisti del ciclismo di ieri e di oggi. «Ho continuato a stare nell’ambiente, conoscendo Pantani, Cassani e Petacchi, e diventando amico di Baldini, Adorni e Gimondi. Mi ricordo ancora quando nel 2000, in una rievocazione di una gara a Bertinoro, incontrai Merckx. Sgranato il gruppo, in salita rimanemmo io, lui e Coppolillo. Al nostro passaggio tutte le persone del pubblico salutavano me ed Eddy mi disse: “ma qui tu sei famoso”. Io gli risposi: “qui il campione sono io, mica tu”. Ma nel frattempo pensavo: “sapessero chi è al mio fianco”…».

Tornando a oggi, su cosa del ciclismo è rimasto a Ravenna, Giusti non ha dubbi: «Adesso siamo aggrappati a Sofia Collinelli, punto e basta. È una brava ragazza, ma più cresce di categoria, più diventa difficile ottenere buoni risultati. Il papà Andrea, nonostante abbia vinto un oro olimpico, è rimasto umile: saprà insegnarle le cose giuste per il suo bene».

Le 88 primavere alle spalle, infine, fino a qualche mese fa non gli hanno impedito di salire in sella. «Tutte le settimane andavo in bici due-tre volte, percorrendo dai 60 ai 70 chilometri. Ogni tanto ne facevo con gli amici anche un centinaio, mettendoci però in mezzo una bella pausa per mangiare. In vita mia non ho mai fumato, bevuto e giocato a carte. E presto – gli occhi di Giusti brillano di nuovo – tornerò in bicicletta».

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