Dalla pallavolo al calcio, andata e ritorno: Matteo Tabanelli si racconta

Dopo il sorprendente ritiro di sei anni fa quando giocava a Ravenna in A1, il fratello dell’ex calciatore del Lecce è tornato a giocare nella Pietro Pezzi, archiviata una parentesi da attaccante a Casal Borsetti

Tabanelli Pezzi 1Viene dal calcio, con più precisione dalla Stella Rossa di Casal Borsetti, il “nuovo” protagonista della pallavolo ravennate. 36 anni, ruolo schiacciatore, Matteo Tabanelli da qualche settimana veste la maglia della Pietro Pezzi, nel campionato regionale di Serie C, squadra intitolata all’agente di polizia scomparso in un tragico incidente stradale nel 2017.

Battute a parte, il nome di “Taba” è come ovvio legato soprattutto all’attività della sua prima vita da pallavolista, quella di libero, in virtù di ben nove stagioni disputate tra Serie A1 e A2, per un totale di 281 presenze distribuite dal 2004 al 2013. Una scelta di cuore, la sua, per un ritorno a casa a sette anni di distanza da un ritiro dalle scene che a suo tempo aveva sorpreso quasi tutti.

«Il volley mi mancava da un po’ – inizia a raccontare Tabanelli – e quando a dicembre il tecnico della Pezzi, Matteo Guerra (figlio dell’indimenticato Sergio, ndr), mi ha chiesto di tornare in campo, non ci ho pensato che un attimo per dire di sì. Mi ha trasmesso fin da subito il suo entusiasmo e di certo la scelta è stata favorita dal fatto di riabbracciare vecchi compagni come Belloni, Cerquetti, Cardia e Cricca».

Come è stato il ritorno in campo?
«Un’emozione bellissima, come ritornare a casa. Farlo poi in una palestra che conosco bene, la “Montanari”, mi ha messo ancora di più a mio agio. Giocare di nuovo è stata una cosa quasi naturale, anche se però avrei dovuto farlo con più calma…».

Perché?
«Perché ho ripreso con tutto il gas aperto e mi sono dovuto fermare per problemi alla schiena. Adesso cerco di riprendermi con i tempi giusti, senza fretta, anche perché mi stavo iniziando a divertire. Giocare nel ruolo di schiacciatore mi stimola ancora di più».

Adesso vesti la maglia di una squadra non comune…
«Qualche volta io e Pietro (Pezzi, ndr) ci siamo allenati assieme, ma purtroppo non ho avuto modo di conoscerlo bene. Si vedeva però che era un ragazzo speciale. Tutti gli volevano bene. Giocare per il suo nome rappresenta senza dubbio un valore aggiunto».

Come è stato tuffarsi nel mondo della Serie C?
«Sono sceso in campo nei quarti di Coppa Emilia Romagna e ho visto un buon livello, superiore di quanto mi aspettassi. Ci sono delle formazioni ben organizzate, contro cui non è facile giocare. Stiamo disputando una buona stagione (al momento la Pietro Pezzi è seconda a sei punti dal primo posto, ndr), ma per proseguire su questa strada bisognerà tenere alto il ritmo, senza abbassare la guardia».

Tabanelli Matteo Cmc

Tabanelli, con la maglia rossa, ai tempi della serie A1

Andando indietro di sei anni, come mai la scelta di ritirarsi (dopo una stagione in A1 nella Cmc Ravenna) così giovane?
«Di pallavolo non si riesce a vivere e sapevo che prima o poi avrei dovuto prendere delle decisioni drastiche. Avevo la fortuna di poter aiutare la mia famiglia nella gestione del Bagno Adriatico di Casal Borsetti e mi sono buttato a capofitto sul lavoro».

Sicuro sia tutto qui?
«Non voglio fare polemiche, perché è passato tanto tempo. È chiaro che fossi un po’ arrabbiato, ma non perché non rientravo più nei piani della dirigenza. Nello sport ci può stare, ci mancherebbe, ma non mi è piaciuto il modo di fare di alcune persone che conoscevo da tanto tempo».

Non hai ricevuto offerte da altre società?
«Sì, ma dopo aver girato tanto volevo restare a casa. Lo sport però mi mancava e ho deciso di giocare a calcio, nella Stella Rossa di Casal Borsetti, in Seconda Categoria, con tanti miei vecchi amici. Venivo schierato in attacco, con il soprannome di “Airone Rosso”».

Hai fatto molti gol?
«Più che farli io, preferivo aiutare i miei compagni a segnare. Comunque ho tenuto una media di 7-8 reti a stagione. Avevo cominciato a giocare anche in questa stagione, ma poi gli acciacchi alla schiena mi hanno fatto smettere».

Il calcio è un po’ una questione di famiglia, giusto?
«Sì, perché mio fratello Andrea è calciatore professionista e si è da poco trasferito al Frosinone, in Serie B. Si è già tolto parecchie soddisfazioni anche in A, con la maglia del Lecce: ha indossato la fascia di capitano e ha realizzato il suo primo gol nella massima serie. Diciamo che negli ultimi tempi in casa Tabanelli si è parlato più di calcio che di volley».

Quali sono state la tue più grandi soddisfazioni nella pallavolo?
«Di sicuro la prima promozione in A1, nel 2007, quando giocavo a Milano. Facevo parte di una nutrita colonia ravennate, formata dal direttore generale Bottaro fino ai compagni di squadra Mengozzi e Sirri, passando per il tecnico Ricci e il preparatore Ercolessi. Vincemmo anche la coppa di A2. E poi ovviamente la vittoria del campionato a Ravenna. È stata l’apoteosi, anche perché ho avuto modo di giocare in A1».

Anche se non è passato tantissimo tempo, il livello della Superlega adesso è superiore?
«Questo non lo so, perché non seguo molto la pallavolo di vertice, ma posso assicurare che anche sei anni fa in A1 battevano davvero forte».

Cosa provi quando torni al Pala De André?
«Non ci vado quasi mai. L’anno scorso sono andato a salutare un mio vecchio compagno, Alberto Elia, a cui sono legato tantissimo. È stato come tornare a casa e mi ha fatto un effetto strano sedermi in tribuna. Vedere il palazzetto pieno, inoltre, è sempre una cosa bellissima».

L’anno prossimo giocherai ancora alla Pezzi?
«Questo non lo so proprio. Adesso vediamo come arrivo alla fine di questa stagione, con la speranza di riuscire a dare una mano. Poi deciderò quando sarà il momento».

Hai mai pensato di fare l’allenatore?
«Sarebbe stato bello, un giorno ritirato, insegnare la pallavolo ai ragazzini delle giovanili. Quella porta però si è chiusa e non penso si riaprirà. Questa estate Bottaro, con cui c’è bel rapporto di stima, mi ha offerto di entrare nello staff tecnico della Conad. È stata una richiesta che non mi aspettavo, ma che mi ha fatto tanto piacere. Per un attimo ho tentennato, ma poi ho preferito dire di no. L’impegno allo stabilimento balneare, almeno fino al termine di settembre, è davvero importante e non mi avrebbe permesso di fare le cose per bene».

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