Da 15 anni picchia duro con il joystick:«Serve tanta memoria e ritmo nelle dita»

Il ravennate Davide Sardella è un giocatore agonista di Tekken, videogame di arti marziali. Dopo molte competizioni nell’arena, ora sta diventando telecronista delle sfide

Tekkenfight

Fotogramma del videogioco Tekken

«L’uomo batte sempre la macchina». Parola di Davide Sardella, videogiocatore agonistico di picchiaduro, il termine con cui si indicano i titoli che simulano duelli a mani nude o con armi da mischia.

Il 31enne di Ravenna – con il nickname Raziel – dal 2006 partecipa a tornei in Italia e in Europa di Tekken: «Se giochi con costanza contro il computer arrivi a un livello in cui vinci sistematicamente tutti i combattimenti perché riesci a leggere in anticipo le mosse. Per migliorare ulteriormente bisogna affrontare altre persone».

Anche per questo cinque anni fa è nato il team Tekken Emilia di cui Sardella è tra i membri fondatori: oggi conta una quarantina di giocatori che vivono in regione, di cui tre nella provincia di Ravenna.
«All’inizio era un gruppo solo per i nostri allenamenti e poi abbiamo cominciato a organizzare anche tornei aperti a tutti».

Il 18 luglio è in programma a Reggio Emilia la penultima di dieci tappe del campionato: i primi 24 in classifica accederanno alla fase finale.

Chi ha provato un picchiaduro o ha visto qualcuno giocare può avere avuto la sensazione che si tratti solo di schiacciare tasti a caso più in fretta possibile sul joypad. Deduzione errata: «In realtà il bravo giocatore capisce la mossa di attacco dell’avversario, sa quale risposta è efficace e quindi quali tasti vanno premuti. Con la difficoltà di doverlo fare con ritmo e tempi precisi per andare a segno. Se pensiamo che ci sono decine di personaggi e ognuno ha le sue mosse, è facile fare il calcolo di quante informazioni vanno memorizzate».

L’abilità principale per dominare Tekken è quindi una buona memoria: «Poi serve il ritmo con cui eseguire i colpi».

Sardella

Davide Sardella

I tornei si giocano con Playstation 4, ognuno porta il suo pad e le sue cuffie.
Ma il gamer agonistico non ha solo la Play a casa: «I server della Sony per giocare online sono pessimi. Funzionano meglio quelli per le partite usando il computer. E allora se non ci si può allenare con qualcuno offline, meglio sfruttare il pc».

Le sfide dei tornei viaggiano sull’ultima versione del videogioco: «Sarebbe bello si restasse fermi su una edizione di Tekken ma non è così».
Chi gioca deve scaricare l’ultimo aggiornamento: «Il gioco base costa circa 70 euro, poi più o meno una volta all’anno esce una cosiddetta “season” che aggiorna l’elenco dei personaggi e va comprata a 30 euro per allenarsi».

Oggi Raziel – che nella vita fuori dallo schermo è un impiegato logistico – ha ridotto i tempi dedicati all’allenamento: «In media un’ora al giorno, dieci anni fa erano anche tre o quattro. Ma adesso sto dedicando più tempo al commento delle partite. La trasmissione in streaming è una cosa ormai sempre più frequente e il commento ha la stessa funzione della telecronaca di una partita: spiega cosa succede, descrive le mosse, fa notare i colpi più azzeccati. Insomma, cerca di tenere coinvolto il pubblico».

Ma come si fa a non annoiarsi giocando o commentando sempre le stesse scene? «Se dovessi giocare da solo avrei spento tutto da molto. Ma attorno al gioco si crea una comunità, si creano amicizie, le persone con cui giochi diventano amici e con loro ti confronti mentre giochi. È quel senso di gruppo che fa la differenza e rende il gioco un divertimento».

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