Byung-Chul Han e “la crisi della narrazione”

Byung

C’era una volta un fuoco, attorno al quale i primi esseri umani si ritrovarono ed iniziarono a raccontare storie. Ora quel fuoco si è spento e al suo posto si è acceso lo schermo di un cellulare. Questa è la fine della narrazione, secondo quanto sostiene il filosofo coreano Byung-Chul Han nel suo La crisi della narrazione (Einaudi).

Ciò che era collettivo ora è individuale. Ciò che era rito è stato svuotato di significato ed è divenuto evento. Ogni cosa nella nostra società diventa un evento. Dalle feste religiose fino alle nostre stesse vite. Ogni cosa ruota attorno alla vendita di merce. La comunità è stata soppiantata dalla community, una forma labile di comunità composta da consumatori anziché da cittadini. Le storie, che un tempo erano il fulcro della civiltà per capire il mondo che ci circonda, oggi sono utilizzate per vendere merci. Così ci commuoviamo davanti allo spot di un supermercato, e guardiamo senza alcun trasporto le immagini di un naufragio nel Mediterraneo o di una guerra che si combatte non molto lontano da qui.

Byung-Chul Han attacca la nostra dipendenza dall’informazione. Sostiene che l’informazione sia l’opposto della narrazione. L’informazione porta la nostra attenzione su ciò che è molto vicino temporalmente, mentre la narrazione guarda al di là del tempo. Un’informazione di qualche mese fa oggi non vale più nulla, una storia invece ha un valore oltre all’immediato, perché più astratta e metaforica. L’eccesso di informazioni ci ha reso ancorati all’istante, meno profondi. Siamo immersi nella “tempesta della contingenza”.

I social come Instagram, Facebook e Tik Tok lavorano sull’accumulo di contenuti, non sulla loro reale importanza. La saturazione quantitativa di parole e immagini toglie lo spazio alla riflessione, e quindi alla creazione di una memoria. La memoria umana sceglie cosa salvare perché dà un valore a determinati momenti. Quella informatica invece tiene traccia di tutto, e così ogni cosa perde di valore. Il video di un villaggio bombardato scompare in mezzo a meme ironici o gossip, e non riesce più a riemergere.

Ogni giorno all’algoritmo serve qualcosa di nuovo, quindi non c’è tempo per riflettere su quanto accaduto, ma senza pensiero niente si fissa realmente nella memoria. Così la guerra in Ucraina viene dimenticata per il ballo del Qua Qua di Travolta, che viene dimenticato per la guerra in Palestina, che viene dimenticata per la separazione della Ferragni. Ogni giorno ci dimentichiamo qualcosa che fino all’istante prima era parso così totalizzante. Così anche eventi enormi come la pandemia e la sua gestione sono stati superati senza una reale riflessione su quanto accaduto. I traumi non rielaborati però, come insegnava Freud, rimangono latenti e riemergono.

Questo bombardamento di informazioni, di immagini, colori, suoni, ha portato una apatia sensoriale crescente. È sempre più difficile notare qualcosa in questo mare, perciò emerge solamente quello che sciocca o diverte. Ma quello che sciocca oggi, non sciocca più domani e quindi è un continuo rilancio. Questo ormai è ciò di cui è fatta la nostra società, e forse varrebbe la pena soffermarci un po’ di più a ragionarci sopra.

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