Quel fascino crudo e angosciante di Han Kang

Han Kang La VegetarianaLa Corea del Sud sta diventando un paese importante a livello internazionale, e negli ultimi anni se ne parla molto. Allo stesso tempo la sua cultura, un tempo misteriosa e schiacciata dalla lunga storia della Cina e del Giappone, sta arrivando anche in Italia. La musica K Pop spopola in tutto il mondo asiatico. La letteratura coreana pare avere un immaginario di riferimento completamente diverso da quello musicale (per fortuna!).

Gli autori coreani tradotti in Italia si contano sulle dita di una mano. Ci sono Hwang Sok-yong, pubblicato da Einaudi, i cui racconti si rifanno ai miti e le tradizioni coreane, Shin Kyung-sook, autrice più introspettiva e sentimentale. Sicuramente però la più nota è Han Kang, giunta alla ribalta internazionale grazie alla vittoria del Man Booker International Prize nel 2016 con La vegetariana.
Edita in Italia da Adelphi e tradotta da Milena Zemina Ciccimarra di Han Kang sono usciti un altro romanzo e due racconti: Atti umani del 2017 e Convalescenza, del 2019, che racchiude i racconti Convalescenza e Il frutto della mia donna.

La scrittura di Han Kang è asciutta e cruda, le storie che racconta sono intrise di una violenza sottile, psicologica e fisica, semi invisibile. Sono vicende angoscianti, tinte da una vena surreale. Scrive di quanto l’essere umano possa spingersi oltre il limite del proprio dolore. Se fossero scritte da un occidentale probabilmente le stesse storie sfocerebbero nel sadismo, invece Han Kang dosa ogni parola, rallenta il ritmo, sottrae la suspense alla azione.

Nel modo di scrivere della Han troviamo uno sguardo diverso da quello a cui siamo abituati, ogni tanto difficile da interpretare. Ad esempio essere vegetariano per un coreano è una cosa radicalmente diversa: non è un fatto politico o etico, ma è una forma radicale di esclusione dalla società, un gesto incomprensibile. La protagonista de La vegetariana non ha in mente una protesta civile, ma al contrario vuole infliggere a sé stessa una punizione, vuole negare la propria vita.
Anche l’uso del linguaggio e delle metafore è particolare. Per descrivere la decadenza che precede la morte Han descrive la donna protagonista del racconto Il frutto della mia donna: «I suoi capelli un tempo lucenti erano fragili come foglie di ravanello avvizzite». Dolore fisico, privazione di alimenti e di sentimenti, sono al centro dell’intera opera dell’autrice. «Una sbalorditiva miscela di orrore e bellezza», recitava la motivazione del Booker, e non si può che essere d’accordo.
Come il cinema coreano risulta interessante, ma sicuramente non immediato, al pubblico occidentale lo stesso di può dire della sua letteratura.

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