65 – C’era una volta

Popolani RavegnaniSfogliare vecchi giornali riserva sempre delle soprese, specialmente quando ci s’imbatte in articoli che raccontano la propria città e le abitudini dei tempi che furono.
Nel numero dedicato a Ravenna datato 25 marzo 1888 de Le cento città d’Italia, supplemento mensile illustrato del “Secolo“, un trafiletto puntava l’attenzione sui “costumi e canti popolari ravegnani” dove, con ampia retorica, erano descritte le figure più caratteristiche della città, dal contadino al facchino, dalla legnajuola alla risajuola: «Un bel tipo ravegnano è pure il facchino (…). Il nostro facchino è un libero lavoratore che attende durante l’annata, massime nell’estate, alla portatura dei sacchi di frumento, di grano turco, di riso, di farina, caricandoli e scaricandoli nei magazzini (…). Porta generalmente la tradizionale galòzza, il camiciotto turchino, il fazzoletto alla garibaldina, e va scalzo. Spinto dalla energia giovanile e dall’amor del lavoro, fra una sudata e una bevuta, intona pur esso le sue arie favorite, manifestanti la sua naturale allegria (…). La più bella, la più simpatica figura di popolana ravennate si è la giovine lavoratrice della risaia. Nell’estate le risajuole vanno a frotte, svelte, gioviali, schiamazzanti. Stornellatrici per eccellenza, esse alleviano le proprie fatiche alternando canti ora patetici, ora faceti (…). Spesso, tornando dalla risaja, traversano la città, cantando dei cori armoniosi e talmente intonati che la gente si ferma e accorre volentieri ad ascoltarle».

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