15 dischi da avere di questo 2015 – di Simone Ferrara

di Simone Ferrara *

In questa giornata grigia di fine settembre dal sapore autunnale provo a buttar giù quello che più mi è piaciuto in questo 2015. Sono gli ascolti che più mi hanno accompagnato a casa, in macchina, nei viaggi, ai concerti.

Holly Herndon – Platform (4AD) Forse il disco che più mi ha spiazzato quest’anno. Un flusso ininterrotto di futuro. Un ascolto per niente facile ma nello stesso tempo per me molto stimolante. Non conoscevo prima Holly Herndon. Trovo la sua abilità nel saper creare strutture sonore che mischiano avanguardia, glitch, pop, sinfonica ed elettronica notevolissima. Probabilmente sarà lei a occupare i piani più alti del mio podio di fine anno.
John Carpenter – Lost Themes (Sacred Bones) Che dire, alla notizia non ci credevo: John Carpenter, il regista cult, esce nel 2015 con un nuovo disco! Su Sacred Bones! Ok mi sono detto, andiamo ad ascoltarlo. In un primo tempo è rimasto sul mio scaffale, poi in questi ultimi mesi è tornato insistemente a farsi ri-ascoltare. Il disco ha il tipico suono (datato) da colonna sonora anni 80, ma le sue strutture sono nuove. Il suo suono strumentale funge come una nuova colonna sonora per “Fuga da New York”. Ottimo!
Lightning Bolt – Fantasy Empire (Trill Jockey) Sono tornati! Era da Hypermagic Mountain del 2008 che non li sentivo così in forma. Nel mezzo due dischi secondo me non perfettamente a fuoco. Sempre nel mentre una lunga pausa live che ha fatto solo che alimentare la loro nomea dal vivo. Questo nuovo disco me li riconsegna in modo esaltante: mai cosi “rock” prima, riff macina tutto, voce al solito annichilente. Unici nel loro genere.
Sightings – Amusers and Puzzlers (Dais) La band di NY ha deciso di sciogliersi. Dispiace veramente saperlo, sono stati capaci in questi anni, con poche fasi alterne, di stupire. E ci lasciano di nuovo stupendoci: la prima traccia del disco, “Counterfeited”, contiene tutto il loro bagaglio: no wave, noise, punk, deragliamenti, ferraglie, scatti. Un basso per tutto il disco che ho avuto la fortuna di sentire dal vivo: non se ne esce.
Low – Ones And Sixes (Sub Pop) Con i Low è ferita nel cuore. Rappresentano una parte emotiva di me che non posso più far finta che non ci sia da Trust. Con un certo timore mi sono avvicinato a questo nuovo lavoro. Ma ci risiamo. Ecco riemergere tutto il trasporto Low nella sua totale intensità. Che non vuole solo dire slowcore, ma oggi anche tessiture elettroniche e suoni caldi nei brani iniziali, leggerezze e indie rock negli altri a fare da ottimo contraltare. I brani ritrovano una scrittura degna del loro nome e io posso tornare ad essere felice!
Blanck Mass Dumb Flesh (Sacred Bones) Metà Fuck Buttons in solitaria. Siamo in territori non specificati, industrial e pseudo trance elettronica. Inaugurato da voci in reverse, questo Dumb Flesh ottiene fin da subito una felice non-catalogazione, che oggi penso premi sempre e comunque. Durante il disco mi sembra di notare echi “big beat” anni ’90, sotto le macerie noise elettroniche, permanenti dall’inizio alla fine. Voce del verbo originalità.
IOSONOUNCANE – Die (Trovarobato) Quando Cosmo dei Drink To Me mi disse alla data cesenate “Ascoltati il nuovo disco di IOSONOUNCANE, è una bomba!” mi si sono drizzate le orecchie. Partito il disco alla fine di “Tanca” il disorientamento era altissimo. Siamo in multistrati “pop” della canzone d’autore italiana 2.1. Di più. Se questo disco uscisse nel 3015 lo immaginerei sempre così.
Ryley Walker Primrose Green (Dead Oceans) Stoffa. Un nome nuovo nel panorama meno “hype” del momento. Copertina del disco in stile Van Morrison, aromi jazzati, saper fare lontano e già sicuro, quei sapori di Tim Buckey nell’aria… Inevitabilmente non può far altro che farsi strada una volta ascoltato, e andare in loop.
Gnod – Infinity Machines (Rocket Recordings) Entriamo un po’ in area psych. Asteroide dell’anno. Il quinto disco della band inglese più fumogena della storia sforna il suo capolavoro. Suite lunghe dallo sviluppo lento e denso. E quando ti aspetti le chitarre loro cosa fanno? Ti fanno trovare batterie sintetiche e suoni lunari. Al limite della claustrofobia, questi 8 movimenti fan sì che per viaggiare non serva nessun tipo di sostanza stupefacente.
Föllakzoid III (Sacred Bones) Rimaniamo in territorio psych ma cambiamo marcia. Passiamo dalla prima direttamente in quinta con questa band cilena di ventenni. Nel terzo lavoro i Föllakzoid danno il meglio. Sezione ritmica disco/punk funk, chitarre liquide, delay, basso funk nero e scurissimo, voce un filo volutamente dietro le quinte. Hanno girato nei festival e per fortuna sono passati anche dalle nostre parti, convincendomi che avranno molto altro da dirci. Ennesima perla della Sacred Bones, un’etichetta a mio avviso tra le migliori del pianeta.
Laurent Garnier La Home Box (F Comm) Spostiamoci in ambito elettronico/house. Ed ecco il Garnier più a fuoco degli ultimi anni. Ora che ci penso è un attimo passare dalla psichedelia dei Föllakzoid a queste partiture. La Home Box descrive Garnier in maniera rinata, ogni pezzo entra in orbita, crea luminosi balzi in avanti, il groove si fa denso, si inceppa, la battuta si fa tarantola, il climax generale fa elevare il disco tra le migliori uscite nel genere dell’anno. Ogni dancefloor che si rispetti dovrebbe avere una “Enchanté” abilmente mixata al suo interno.
Jamie XX In Colour (Young Turks) Qui cadiamo alla voce hype dell’anno. E mi sono domandato più volte se se lo meritasse. Alla fine ho deciso: se lo merita. Se lo merita quando ti ritrovi a canticchiare un ritornello da giorni e strippi perché non ti ricordi di chi sia. E la risposta è tutta li. Il singolo “Loud Places”, 100% XX, lo ascolti per radio e pensi che se ogni cosa che ascoltassi per radio fosse così, sarebbe un mondo migliore. Ma questo disco raccoglie tanti altri momenti molto belli. Davvero un esordio solista per una delle menti degli XX magistrale.
Sufjan Stevens Carrie & Lowell (Asthmatic Kitty) Francamente non avevo capito Sufjan cosa volesse fare del proprio estro musicale. Ma è anche colpa mia, non ho donato particolarmente attenzione alle sue ultime cose. Poi arriva questo nuovo lavoro. Sento dire che sarebbe ritornato ad atmosfere più minimali e intime. E già si alzano le attese. Mi informo sulla gestazione dell’album, sul perché di quella foto in copertina. E mi sale il magone. È il Sufjan più a nudo che potessimo avere. Il disco mi è piaciuto molto, raggiunge picchi per tutta la sua durata, in punta di piedi, con pochi strumenti, ma con quella intensità che forse solo lui poteva permettersi.
Colleen Captain Of None (Thrill Jockey) Cecile Schott ritorna a far parlare di sé dopo un lungo silenzio. E lo fa con una eleganza inbarazzante. Passato inosservato dai più, questo disco è una spiaggia deturpata dove risiede un’oasi e una sorgente d’acqua purissima. Cameristico quanto basta, lo porto con me con gli ascolti più interessanti di quest’anno. Perché dopotutto mi rendo conto che più passa il tempo, più si stratifica tutto, più sono alla ricerca di purezza e cose fuori da (questo) tempo.
Lakker – Tundra (R & S Records) Concludo con questa giovane promessa europea techno. E non solo. Questi Lakker mischiano techno primitiva a bordoni ambient e voci chiesastiche da oltretomba. Una vera sorpresa il loro Tundra, un disco prima di tutto fatto di suoni, ma anche di splendide linee vocali leggiadre che fanno decollare molti brani. Potremmo pensare che la città di Blade Runner oggi, se esistesse, suonerebbe così.

* Simone Ferrara, 35 anni di San Mauro Pascoli, è promoter e organizzatore di eventi musicali dal 2003, attivo con il progetto Stereo:Fonica anche con dj set e selezioni musicali. Collabora o ha collaborato in diverse forme con i principali festival e locali della Romagna, tra cui l’ultima rassegna “Acieloaperto”

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