Lucarelli e il “nuovo” De Luca, scrittura fluida e ipnotica

Lucarelli Inverno Più NeroAchille De Luca: commissario, sbirro, vicecomandante della polizia politica; per un periodo è anche “il miglior poliziotto d’Italia”. Poi resta invischiato, nei primi anni Cinquanta, in una vicenda di spionaggio: è il suo ritorno in scena, del 2017: Intrigo italiano.
Oggi, trent’anni dopo il primo romanzo che lo ha visto protagonista – Carta bianca – eccolo alle prese con tre omicidi nella Bologna del dicembre 1944, L’inverno più nero (Einaudi, marzo 2020).

Carlo Lucarelli è un grande scrittore, oltre che sceneggiatore e curatore di preziosi approfondimenti televisivi. È quindi evidente come non ci si debba stupire se la città in cui il protagonista si muove sia descritta con precisione e affetto, grazie a una documentazione storica imponente. D’altra parte, al sesto capitolo dedicato al suo primo – e forse più celebre – personaggio, Lucarelli può… fargli fare quello che vuole.
Forse lo ha reso più fragile e soprattutto la paura che lo prende allo stomaco, che porta sudore freddo e ansia, è divenuta via via una caratteristica sempre più importante. D’altra parte, quando inizia il romanzo, l’1 dicembre ’44, mancano quattro mesi alla liberazione della città, e il sangue scorrerà ancora per le strade e sotto i portici.

Tre morti, tre indagini, tre parti del romanzo. Tre omicidi in una sola notte, nell’arco di poche centinaia di metri uno dall’altro; e attorno ai quali si mescolano interessi fra loro del tutto diversi: dai nazisti ai partigiani. Ci sono liquori, donne affascinanti, lavanderine, ufficiali tutti d’un pezzo, carogne vere e proprie, che sanno solo torturare e ingannare. De Luca, che non prende posizione ma “fa il poliziotto” (anche se all’inizio inquina la scena di un crimine, per far indagare in una direzione di comodo), arriva a capo di ogni mistero.

Carlo Lucarelli racconta ogni storia, e “la” storia dei quei giorni, con una scrittura fluida e ipnotica, che risucchia nelle pagine e ti rende difficile abbandonare la lettura. Un grande scrittore, non c’è dubbio.
Due appunti, che non intaccano la forza e la qualità del romanzo. I brani di cronaca tratti dal “Carlino” che, come nel romanzo precedente, aprono i capitoli. Note per contestualizzare la vicenda? Vezzi per mostrare la quantità della documentazione?
Non importa: se ne poteva fare a meno. Infine qualche refuso di troppo, come “premesso” invece di “permesso”; o, addirittura, nelle note di pagina 303: “finito di scrivere a Libreville (Gabon), sabato 7 dicembre 2020, ore 9:26”. Come dire… opera aperta.

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