Alla città europea della cultura serve l’anticonformismo

Spesso una parola o una frase ripetuta più volte finisce con il perdere il suo vero significato. A Ravenna sono ormai anni che si parla di capitale europea della cultura e non passa giorno senza che l’encomiabile assessore Cassani ci ricordi che la nostra città ha deciso di diventarlo nel 2019. «Questo evento - dice Cassani alla presentazione di qualsiasi “evento” - è molto importante per la candidatura di Ravenna a capitale europea della cultura». A quel punto di solito l’organizzatore sorride compiaciuto e tutto finisce lì, con quella pur bella suggestione che vaga fra i pensieri dei presenti senza poi lasciare traccia.
Ma cosa significa essere davvero, anche solo per un anno, anche solo fra dieci anni, “capitale europea della cultura”? Wikipedia, come spesso capita, viene in aiuto spiegando come si tratti di una città designata dall’Unione europea che per un anno «ha la possibilità di mettere in mostra la sua vita e il suo sviluppo culturale». Ecco “vita” e “sviluppo” culturale sono termini che si riferiscono al presente, o al limite al futuro. Ravenna invece, a dire la verità, pare continuare a guardare ancora troppo al passato. I mosaici, Dante, i monumenti patrimonio dell’Unesco. Certo, tutti aspetti che aiutano, ma l’impressione è che la capitale europea della cultura debba essere anche viva, moderna e all’avanguardia, soprattutto nella “mentalità”. Quest’anno, per esempio, la scelta è caduta su Vilnius – città anticonformista che ha eretto in centro storico una statua di Frank Zappa – e Linz, famosa per il suo festival di arti digitali e per il museo di fotografia con opere di Man Ray. A Ravenna, invece, fa ancora discutere una mostra fotografica sui transessuali, c’è chi propone di far sparire dal centro storico i ristoranti etnici e il sindaco sta proprio in queste ore pensando se non sia il caso di vietare la vendita di alcolici in spiaggia. Che non è proprio il massimo per una città “moderna”.
E dire che, sotto l’aspetto prettamente artistico, il fermento non manca, anche se spesso le realtà locali impegnate nei vari campi della cultura contemporanea sono lasciate a se stesse e non si fa abbastanza per dare loro la visibilità che meriterebbero, come capita invece ad esempio nelle vicine Bologna o Ferrara, dove si susseguono festival anche in pieno centro storico (con buona pace dei residenti, a Ravenna sorta di categoria protetta) che hanno il merito se non altro di formare una certa mentalità. Mentalità che il ravennate “fighetto” non può avere, anche se si dovesse tutto a un tratto ritrovare cittadino della capitale europea della cultura.

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