Neppure la partita scalda il cuore

Domenica sera, anche a Ravenna, almeno un verdetto è stato emesso. L’exploit di Di Pietro e della Lega? Il Pd che tiene? Il Pd che crolla? Il Pd che vince? No, scusate, dopo tre sere consecutive passate in compagnia di Bruno Vespa e una sola puntata di Ballarò con la Brambilla – senza contare gli assurdi festeggiamenti dei vari Palazzetti, Petri e Bazzoni del Pdl, che anche a Ravenna, forse è bene ricordarglielo, ha perso consensi – non ho davvero voglia di insistere con la politica. Basterebbe poi avere il coraggio di rispondere alle dieci domande che poneva l’infallibile Massimo Gramellini ai propri lettori sul La Stampa di martedì per rendersi conto della deriva in cui è finita ormai da anni la politica italiana. Il verdetto a cui accennavo sopra è invece un altro, e molto più serio: il Ravenna deve dire addio alla serie B. Come è facilmente intuibile il tema è il calcio, e se a qualcuno l’argomento dovesse procurare l’orticaria, è meglio che volti pagina perché sto per scrivere una cosa piuttosto forte: il calcio è spesso specchio fedele della società, ancor più della politica. La città di Ravenna ne è un esempio lampante, non essendo in grado di sostenere con entusiasmo neppure una squadra di calcio, sport popolare per eccellenza. Domenica, per la partita dell’anno contro il Padova, allo stadio c’erano circa 2mila tifosi giunti dal Veneto per incitare la propria squadra, mentre i ravennati non erano neppure il doppio. Ma c’è da dire che i 5mila e rotti spettatori presenti complessivamente hanno rappresentato comunque una bella eccezione per Ravenna, ma solo perché si trattava della gara più importante, come il classico appuntamento mondano dove ci sono un po’ tutti e che il ravennate medio non si perderebbe per niente al mondo. Le altre domeniche, invece, i paganti sono spesso oscillati tra i cento e i mille, anche quando la squadra si è ritrovata inaspettatamente in corsa per il primo posto. Un brutto segno, il segnale di quanto sia fredda questa città. Non è cosa da niente, perché non credo sia bello per nessuno vivere in un luogo dove non ci si appassiona, in una città chiusa, dove la gente preferisce un centro commerciale, un happy hour o un semplice aperitivo a un vero coinvolgimento emotivo, quale è nel suo piccolo la partita della squadra della propria città. Per restare in zona, Ferrara, Cesena o Bologna vivono il calcio con tutto un altro entusiasmo e non è un caso che siano anche tutte città molto più vive della nostra. Prescindendo dai valori tecnici, trovo quindi giustissimo che Ravenna non abbia ipocritamente festeggiato un’altra promozione. Ognuno, in fondo, è bene che abbia sempre ciò che si “merita”. In ogni campo. Il fatto è che alla serie C ti ci puoi anche abituare, a Berlusconi e alla tracotanza di Castelli (ma lo avete visto l’altra sera in tv?) invece proprio no.ai tristi ravennati…

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