Ebbene sì, ho letto Spare, l’autobiografia del Principe Harry.

Se c’è chi pensa che potrei occupare meglio il mio tempo, non posso dargli torto, seppure ne abbia tratto una quantità sorprendentemente elevata di spunti di riflessione. Il primo dei quali è stato valutare l’opportunità di far firmare a mio figlio di cinque anni un accordo di riservatezza (e non ho ancora accantonato l’idea).

Alzi la mano chi non è percorso dai brividi all’idea di finire nell’autobiografia dei propri figli. Sul serio, mi ritengo una madre mediamente amorevole e attenta, ma certi scambi col mio erede non sono proprio royal, diciamo. E se raccontasse che l’ho mandato a scuola coi calzini spaiati? O che ho perso il suo lavoretto di Natale dell’anno scorso? Brrr.

Insomma, Harry ricorda a tutti noi genitori, se ce ne fosse bisogno, che tutto quello che diciamo e facciamo potrà essere usato contro di noi, pure se difficilmente i nostri figli diventeranno milionari rivendendosi le nostre nefandezze.

E però, c’è qualcosa che mi ha parecchio colpito: l’apparente incapacità di dare un’ordine di priorità alle cose. Mescolare traumi veri e dolorosi allo stress causato dalla ritardata consegna di una tiara o dalle prove d’abito delle damigelle di nozze, alle nostre orecchie plebee suona un po’ eccessivo.

Arrivata all’ultima pagina di Spare, ho tirato ben tre sospiri di sollievo: uno per la scelta della scuola di mio figlio (se frequentare il celebre Eton College non ti mette al riparo da clamorosi errori di valutazione, tanto vale scegliere la scuola pubblica più vicina senza troppi patemi d’animo).

Uno per la rasserenante circostanza che nessun mio familiare disponga, al momento, di un ufficio stampa.

E uno per tutti gli abbracci plebei che possiamo goderci senza protocollo alcuno.

E se la nostra progenie ci riterrà troppo noiosi per scrivere un libro su di noi, magari avremo fatto bene il nostro lavoro.