Genitori democratici

 

Pandemia o no, ci sono luoghi istituzionali che devono continuare a funzionare, pena lo sgretolamento dei nostri valori democratici e del benessere della comunità. Sto parlando, ovviamente, del Parlamento della Repubblica, della Corte Costituzionale, e dei comitati di partecipazione dei genitori nelle scuole dell’infanzia.

Non sfugge a nessuno l’importanza del rapporto scuola-famiglia, dei patti di corresponsabilità, e della condivisione degli obiettivi tra insegnanti e genitori, come ogni anno ci illustrano maestre oramai più impegnate di un dirigente d’azienda, mentre nel loro sguardo cogliamo l’ineffabile interrogativo: cosa può essere andato storto tra il momento in cui la parola degli insegnanti era legge e un presente in cui una filastrocca sulle foglie in autunno scatena dibattiti degni di una commissione parlamentare di inchiesta?

Il problema è che noi (e con “noi” intendo genitori un po’ attempatelli di figli quasi sempre unici) facciamo una fatica bestiale ad accettare l’idea che i nostri figli abbiano bisogno di altro oltre a noi stessi. Una diversa visione del mondo, un modo diverso di approcciarsi alla realtà. Non facciamo che parlare di accettare le differenze, di valorizzarle, addirittura, ma quasi sempre intendiamo le nostre differenze. Quelle degli altri ci sembrano sempre un po’ moleste, meno necessarie. E allora sentiamo l’esigenza di partecipare per portare la nostra luminosa visione delle cose in un mondo caotico e oscuro.

Ecco allora il mio proposito e la mia esortazione: partecipiamo meno, ascoltiamo di più. A volte un’affettuosa distrazione fa meno danni di un’accanita imposizione di idee.

A conclusione del saggio pistolotto, ammetto di avere appena assunto l’incarico di tesoriera alla scuola di mio figlio. Ma non volevo, giuro.

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