Con un inno così, «chi vincer ci può»?

Domenica 11 luglio è accaduto l’imponderabile.
Una nazione intera si è ritrovata davanti alla celeberrima frittatona di cipolle per sostenere col corpo e con la mente un manipolo di compatrioti che sull’erba della perfida Albione gareggiavano per titoli sportivi d’eccellenza.

A cornice di tutto ciò, però, non vi era un moderno ritmo dall’incedere latino, né un banale motivetto composto ad hoc, bensì una “marcetta” nata nelle uggiose giornate novembrine del 1847, all’alba della Primavera dei Popoli: il Canto degli Italiani.

Qualche lettore, legittimamente, si starà chiedendo quale sia questo brano. Ebbene, l’arcano è presto sciolto, è l’inno nazionale italiano, noto anche come Fratelli d’Italia, così come recita il primo verso.

Certamente alla storia è stato consegnato come di Mameli, tuttavia il poeta genovese si occupò solo della stesura del testo. Fu un’altra figura a rendere immortali le parole che infiammano l’anima di ogni tifoso italiano, Michele Novaro.
Anch’egli genovese, prese i versi di Mameli e li ricoprì di quella fortuna che li ha consegnati a un popolo intero non solo perché questo potesse cantarlo a squarciagola durante le manifestazioni sportive.

Il testo è un condensato della retorica del tempo, volta a far leva sul desiderio di appartenenza fraterna che già serpeggiava potente nello stivale, con ampi richiami alla ascendenza romana e al contesto bellico.
Con una base così evocativa, il tessuto musicale non poteva sottrarsi al compito di sostenere con forza la tesi dei versi.

Nacque così l’inno come è noto, con una breve introduzione strumentale che presenta da subito un ritmo dattilico marziale e assai evocativo, prima di dare il via al canto.

Se l’impronta militare è subito chiara, grazie anche all’indicazione Allegro marziale, con il cambio di agogica si reitera la prima parte della strofa e non è peregrino paragonare questo Allegro mosso al carattere sanguigno e a tratti fumantino che dell’italiano è un po’ stereotipo (e, quindi, in parte vero). Il pianissimo che da qui nasce è, poi, solo effimero poiché il crescendo e accelerando fino alla fine si nutre di esso per diventare un boato fortissimo.

Se il testo di Mameli è specchio del popolo, altrettanto, quindi lo è la musica di Novaro.
E con un inno così «chi vincer ci può?»

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