La bellezza (e il conforto) dell’arte alla riapertura del teatro Rossini di Lugo

Teatro Rossini Lugo RestauratoI festeggiamenti per la ricorrenza del Santo Patrono sono un appuntamento fondamentale nel calendario di una città: oltre alla valenza religiosa, essi sono il simbolo di una rinnovata volontà di essere comunità che si riconosce in quel momento come appartenente alla stessa città e che, almeno per sommi capi, afferma di essere figlia della stessa matrice culturale.
Non poteva, dunque, esserci giorno migliore del 15 maggio, Sant’Ilaro, per celebrare la restituzione alla cittadinanza del teatro Rossini di Lugo. La chiusura di quasi tre anni ha permesso quei fondamentali lavori di drastica ristrutturazione che si erano resi necessari dopo più di trent’anni di attività indefessa, tuttavia la loro realizzazione ha subito, anche a causa della pandemia, diversi rallentamenti che non hanno impedito, però, di poter rivedere aperte le porte di questo monumento della cultura.

Ad attendere i cittadini all’esterno del Rossini, oltre ai colori della facciata, già svelata alcuni mesi fa e riportata a colori più fedeli all’originale rispetto a quel salmone che nel corso del trentennio passato era ormai mutato, vi era, su questo ideale sagrato, un drappello di rappresentanti in costume dei quattro rioni con chiarine, tamburi e sbandieratori come a voler simboleggiare quella continuità culturale che procede dagli Este agli attuali figli della città. Entrati nella sala non si può non notare il colore dei drappi e del sipario, rossi come le lacrime di Edipo, di pregevolissima fattura che, tuttavia, non convincono i nostalgici che rimpiangono il caratteristico azzurro-verde (ancora presente nei cuscini dei palchi e nelle sedie in platea).

Sindaco Lugo Ranalli Restauro Teatro Rossini

Il sindaco di Lugo Davide Ranalli (a sinistra) alla presentazione dei lavori di restauto del Teatro Rossini

Sul palco la serata di inaugurazione del più antico teatro in attività dell’Emilia-Romagna è stata aperta da quello che è il neo padrone di casa, ossia il direttore del Rossini, Giovanni Barberini che, con un’equilibrata miscela di felicità ed emozione ha introdotto colui che più di tutti si è battuto in questi anni per questo luogo, il sindaco Davide Ranalli. Nel suo lungo e articolatissimo discorso introduttivo il primo cittadino, non nascondendo la giusta e giustificata emozione, non ha dimenticato nessun aspetto, salutando tutte le autorità presenti e ricordando alla platea cosa significhi avere un teatro funzionante nel cuore della città. In coda al suo intervento c’è stato poi, l’appello a quella pace che solo la cultura, quella del dialogo, può portare. Invito raccolto e fatto proprio anche dal presidente della regione Stefano Bonaccini che, dopo il primo cittadino lughese, ha ricordato soprattutto come la cultura, quella del lavoro, sia un tratto distintivo della regione e che proprio «la spesa per la cultura non sia mai sbagliata» giungendo a parafrasare l’infelice uscita di un recente ministro dell’economia affermando che con la cultura si può mangiare davvero (e l’Italia intera in questo potrebbe davvero insegnare al mondo come fare, ma forse i tempi non sono ancora maturi).

Dopo le parole, la musica. Il programma della serata, noto da tempo, lasciava spazio a qualche perplessità: era, infatti, prevista l’esibizione dell’Orchestra Giovanile Luigi Cherubini diretta al pianoforte da David Fray. Se questa compagine può essere annoverata tra le eccellenze della provincia, ci si poteva, però, domandare perché far vibrare l’inaugurazione con le note di un solista, di un primus affatto inter pares, invece di far valere la forza della comunità che in musica è ben identificabile con l’esaltazione dell’orchestra, con la sinfonia. La presenza sul palco di questi artisti, di indiscusso livello, non si spiega al meglio se non con un’idea di una collaborazione sempre più stretta con l’area artistica ravennate sotto la cui egida, in modi differenti, ricadono sia l’orchestra sia il pianista.

Le prime note vibrate dentro il nuovo Rossini sono state di Rossini: il Preludio religioso inserito all’interno di quel capolavoro che è la Petite Messe Solennelle. Che le prime battute siano state eseguite dal pianista invece che dall’orchestra (spiegabile solamente con la differenza di organico tra questa composizione e le successive in programma) ha nei fatti cambiato drasticamente il colore della pagina, eseguita come se il Rossini del 1863 fosse ancora quel “tedeschino” che all’inizio dell’Ottocento si esibiva come cembalista in questo teatro e non come il compositore maturo e profondo che si dimostrò, invece, nel suo ritiro francese. Si comprende che non potesse mancare l’omaggio a Rossini, tuttavia si poteva pensare a qualcosa di diverso e corale, magari composto in quella gioventù che il compositore ha trascorso nel ravennate.

Teatro Rossini Lugo SiparioSi spiegano meno nell’ottica della riapertura, invece, i successivi concerti di Johann Sebastian Bach per tastiera e orchestra d’archi. Caposaldi della letteratura, certo, il n. 1 BWV 1052 e il n. 4 BWV 1055 hanno messo in luce fin da subito la morbidezza del suono della Cherubini alla quale, però, nonostante un organico forse sopradimensionato per questi brani, era chiesto di suonare con dinamiche veramente ridotte tanto da lasciar talvolta solo intuire certi passi (le viole su tutti). Il pianista francese, invece, dimostrava tutta la sua sapienza tecnica con un ottimo tocco, tuttavia mancava di quel guizzo, non osando mai e restituendo, quindi, alla fine una lettura piatta non riuscendo a coinvolgere nelle direzioni del discorso musicale un’orchestra perfetta, ma statica.

Più interessante è stato il concerto n. 24 K 491 di Wolfgang Amadeus Mozart nel quale è apparso subito che sia il pianista, sia l’orchestra si trovassero più a proprio agio con il lessico galante. Il dialogo tra le due forze in gioco appariva assai più equilibrato e, nonostante il brano in antitesi con questo affetto, disteso. All’ascoltatore esperto non sarà sfuggito che l’orchestra non fosse in serata di grazia. Se è concesso, però, si vuol qui spezzare una lancia perché, al contrario di altre circostanze, in questa serata speciale la Cherubini ha accolto tra le sue fila alcuni musicisti provenienti dall’Orchestra del Teatro dell’Opera Nazionale d’Ucraina. Questi innesti, come è fisiologico che sia, raramente sono indolori, ma necessitano di quel naturale periodo di assestamento che permette agli ingranaggi che compongono una così precisa e delicata macchina di funzionare al meglio.
A suggellare, infine, la natura più individuale che collettiva del concerto è stato l’Impromptu op. 90 n. 3 di Franz Schubert nel quale il pianista francese è salito in cattedra dando, infine, una lezione di grandissimo stile ed eleganza.

All’uscita rose rosse e bianche, colori del gonfalone di Lugo, per tutte le signore del pubblico. Già, il pubblico. Grande protagonista della serata. Il teatro era letteralmente tutto esaurito (e questo è un bene grandissimo) forse anche perché i biglietti erano gratis (e questo non è necessariamente un male). Oltre alle autorità e ospiti di rango, erano presenti fasce di pubblico incredibilmente variegate, giovani e no, assidui frequentatori di sale e no. Gli applausi, non contestati, dopo ogni movimento hanno forse reso un po’ più provinciale la serata, ma forse più vera e più in contatto con quello che piace tanto definire paese reale e che, è evidente, aveva davvero voglia e bisogno di Cultura.

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