Febbraio è il mese della maschera, ma non solo per il Carnevale

Palco SanremoFebbraio è, tradizionalmente, il mese della maschera, del Carnevale e nella storia della musica italiana il martedì grasso segnava la fine delle rappresentazioni operistiche.
In teatro, infatti, si soleva far partire la stagione il giorno di Santo Stefano, facendola cessare a Carnevale. Oggi, fortunatamente, non vigono più questi paletti temporali imposti secondo un sentimento religioso, tuttavia è la maschera che domina ancora il febbraio italiano.
E non si tratta del Carnevale.

Quest’anno era il 70º anno di vita del festival di Sanremo. Anzi, del Festival della canzone italiana, fonte di ispirazione per l’Eurovision Sony Contest. Tutta questa celebrazione dell’identità del Belpaese dovrebbe inorgoglire il più restio dei sovranisti il quale, però, a ben vedere, non avrebbe molto da apprezzare. Da metà degli anni ’60, infatti, le tracce dell’italianità musicale sono andate via via edulcorandosi nella melassa di uno stile nato dalla controcultura sviluppatasi in seno alla contestazione giovanile.

Le ascendenze dello stile italiano, nato da genitori nobili quali l’opera lirica e la canzone da camera (un autore per tutti, Francesco Paolo Tosti) vengono negate e soffocate in quelli che oggi sono, a tutti gli effetti, tentativi di repressione della melodia, primo e più marcato manifesto dell’italianità musicale.

Vi è, però, un secondo fraintendimento e cioè quello che mette in gran luce l’importanza del testo rendendolo, non come nell’opera un princeps inter pares, un buco nero che assorbe l’interesse di tutti, lasciando alla vera protagonista, la musica, poche, sporadiche e superficiali attenzioni.
Vero è che nelle più recenti edizioni del Festival gravita tutto attorno ad altro e della musica non ne parla davvero nessuno, né in televisione, né al di fuori di essa.

D’altro canto, per poter parlare di musica in termini non epidermici è necessario uno studio che né la riforma Gentile, né i successivi tentativi di ammodernamento del sistema scolastico hanno mai concesso. Peccato perché grazie alla conoscenza dell’arte è possibile interpretare meglio la realtà.

Ultima analisi: è vero, un orchestrale sanremese percepisce 50 euro al giorno. È poco, ovviamente, ma non è lontano dalle realtà quotidiane di un qualsiasi musicista non stabile. Questo è l’Italia oggi.

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