Un “Romeo e Giulietta” dal profondo spessore, nelle voci e interpretazione musicale, discutibili scene e regia

Uno scatto dal debutto a Fiume di "Romeo e Giulietta"Romeo e Giulietta. Gli amanti infelici per definizione. Probabilmente la frase che meglio di tutte riassume la vicenda nata dal genio shakespeariano la scrisse Marco Valerio Marziale circa 1500 anni prima che il Bardo nascesse: «nec sine te nec tecum vivere possum» («non posso vivere con te, né senza di te»).
Proprio questa impossibilità a vivere in entrambe le occorrenze è ciò che traspare dal libretto dell’opera Romeo et Juliette di Jules Barbier e Michel Carré, tanto che è proprio la protagonista che nel primo atto si lascia sfuggire una frase profetica: «La haine est le berceau de cet amour fatal! C’en est fait! Si je ne puis être à lui, que le cercueil soit mon lit nuptial!» («L’odio è la culla di questo amore fatale! È così! Se non posso essere sua, che la bara sia il mio letto nuziale!»).
Proprio questo libretto fu, infine, musicato da Charles Gounod il quale riuscì a creare attorno ai due focosi amanti un mondo anaffettivo dove l’onore e l’odio reciproco si ergono a legge suprema. È in questo contesto che prende vita, però, la speranza che i librettisti e il compositore consegnano nelle mani di due personaggi secondari, Gertrude e Frère Laurent: sono, infatti, la nutrice e l’uomo di chiesa coloro ai quali più di tutti i due amanti affidano i loro segreti e, come afferma Juliette nel quarto atto, la vita stessa. Il destino, purtroppo, ha un disegno differente per i protagonisti della tragedia shakespeariana che vengono consegnati, finalmente uniti, al sepolcro entrando nel mito.

Tutto ciò è stato messo abilmente in scena nella prima rappresentazione di questa interessantissima opera il 18 gennaio sul palco del teatro Alighieri di Ravenna, primo appuntamento della stagione operistica 2019.
Il clamore per questa produzione è dato dal debutto di un illustre ravennate sul podio dell’Alighieri in veste di direttore d’opera: il maestro Paolo Olmi, infatti, dopo una carriera costruita in tutto l’orbe terracqueo, corona il sogno di offrire alla sua città un saggio della propria arte.
Il direttore ravennate d’adozione, visibilmente emozionato, ha proposto una lettura misurata e attenta delle pagine gounodiane (notevole l’intensità drammatica dell’ouverture).
Stupisce anche la scelta della disposizione dell’orchestra nella buca, con gli ottoni a sinistra del direttore, le campane delle trombe e dei tromboni rivolte verso il maestro e non verso il pubblico, e l’arpa dalla parte opposta: questa soluzione è molto d’impatto nei momenti più drammatici e valorizza i numerosi interventi dello strumento a pizzico.
Grazie a questa esaltazione l’Orchestra del Teatro Nazionale Croato Ivan Zajc di Rijeka avrebbe dovuto suonare in maniera migliore: tante piccole sbavature che spesso finiscono per inficiare il giudizio sul direttore, tuttavia gran parte delle responsabilità sono da attribuirsi ai singoli musicisti che, forse a causa della non abitudine a suonare un certo repertorio, non riescono a convincere fino in fondo nonostante l’orchestra riesca comunque a raggiungere qualche piuttosto raro momento sublime.
Di sostanza, invece, l’esibizione del Coro del medesimo teatro, curato dall’italiana Nicoletta Olivieri, che convince nonostante qualche voce non proprio in linea con le altre.

Uno scatto dal debutto a Fiume di "Romeo e Giulietta"Vale la pena soffermarsi sulla regìa. Notevole è la contrapposizione iniziale tra la scena nera e il bianco delle vesti dei due protagonisti su un gradino che riveste il ruolo sia di letto nuziale sia di giaciglio funebre: proprio questa piccola increspatura del suolo, dedicata solo ai due protagonisti, si può leggere come un’ara sulla quale essi vengono sacrificati per pagare «de leurs jours le fin des heines séculaires» («con la vita la fine degli odi secolari»).
In effetti l’idea dichiarata del duo Marin BlaževićLada Čale Feldman (rispettivamente regista e drammaturga) è di concepire tutta l’opera come «una specie di marche funèbre», così descritto bene nel breve saggio all’interno del libretto di sala. Va detto che l’idea è rigorosamente rispettata e, per certi versi, è inossidabile. Lascia perplessi un po’ vedere nero per quasi tutta l’opera, con soltanto il bianco delle due vittime (e solo per l’ouverture e nel finale) a fare da serio stacco cromatico.
Mancano, e tanto, le differenze dei personaggi che anche nell’abito hanno modo di approfondire la loro tridimensionalità. Discutibile la gabbia luminosa entro la quale si svolge tutta la vicenda: non se ne capiscono il ruolo e l’utilità se non per l’effetto finale, evocativo della divinità, creato sollevando la struttura e illuminando dall’alto tutta la scena.
Non è chiaro, infine, perché i personaggi secondari, specialmente il padre di Juliette, debbano spostarsi per la scena girando come dervisci: il rimando al ballo in casa Capulet è una giustificazione troppo debole.

Uno scatto dal debutto a Fiume di "Romeo e Giulietta"Capitolo cantanti. È bello vedere tanta gioventù in scena ed è interessante notare, soprattutto, come tra i vari comprimari non ci siano voci sgradevoli e non educate. Il Mercutio di Michael Wilmering è efficace nella sanguinosa brama per la difesa dell’onore e Marko Fortunato nei panni di Tybald sfoggia addirittura un fugace falsettone che ne impreziosisce l’interpretazione. Le Comte Capulet è prigioniero dell’odio in cui è immerso e la recitazione di Beomseok Choi rende evidente questa condizione. Interessante è stata anche la presenza di Ivana Srbijan, nel ruolo en travestì di Stéphano, la cui morbida voce ha conquistato il numeroso pubblico.
Notevole l’interpretazione di Eugeniy Stanimirov, Frère Laurent, che si cala abilmente nel ruolo trovando non solo una dimensione sacra, ma giungendo a quella paterna, ergendosi a ultima speranza di felicità per i giovani amanti. Menzione speciale merita Sofija Cingula che, a causa di un infortunio occorso durante la prova generale, veste i panni di una Gerturde in stampelle capace di sorreggere non solo sé stessa, ma anche la giovane Juliette nel momento delle nozze.
I giovani amanti sono stati interpretati da due altrettanto giovani cantanti di grandi prospettive. Jesús Álvarez nei panni di Roméo comincia in sordina, venendo spesso oscurato dall’orchestra, tuttavia nel corso dell’opera ruggisce come una fiera mai doma e nel finale la sua voce risuona bronzea e intimamente drammatica. Juliette è sicuramente il personaggio più interessante di tutta l’opera e Margarita Levchuk è un soprano dal sicuro avvenire. La cantante bielorussa colpisce per l’interessante pasta sonora, l’uniformità tra i registri e l’acuto sicuro, che non guasta mai.

Ravenna merita spettacoli interessanti che mettano in luce un pensiero profondo e questo allestimento si ascrive sicuramente a questa categoria: Virgilio avrebbe detto «sic itur ad astra» (così si sale alle stelle).

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