Ottime proposte nelle stagioni di Ravenna e provincia, peccato per il pubblico regredito a (tele)spettatore

Teatro Rossini Lugo

Il Teatro Rossini di Lugo

Come da tradizione, verso metà maggio si sono concluse le stagioni musicali nei teatri di Ravenna e provincia ed è tempo, quindi, di fare qualche riflessione sulla salute della “classica” sul territorio. Bisogna innanzitutto considerare che questa breve indagine si pone come obiettivo quello di essere un buon viatico per leggere ciò che è la realtà musicale nel ravennate.
Le stagioni che hanno preso vita sui palchi dei teatri di Ravenna e provincia sono state di un elevato spessore culturale, portando nelle città romagnole esecutori prestigiosi che hanno dimostrato anche nei templi sonori dell’Esarcato le virtù che li rendono celebri nel mondo.

Ravenna è sicuramente la regina, con diverse rassegne prestigiose e dense d’interpreti sensibili e raffinati che hanno deliziato il palato dei presenti: importante è stato, in particolare, il tributo a Gioacchino Rossini, nel 150° anniversario della morte, che ha pervaso l’anima delle rassegne.
A Lugo gli appuntamenti con la musica hanno offerto una buona proposta per mostrare al pubblico del Rossini quali vertici possa toccare l’arte dei suoni con le sue diverse sfumature, lasciando ampio spazio a realtà meno ortodosse che mantengono viva la fiamma della cultura.
A Faenza, invece, probabilmente per una divisione ideale con Imola molto più attiva su questo versante dell’arte, le poche occasioni di ascolto sono state all’insegna della monografia, che ha permesso di valutare a tutto tondo importanti compositori del romanticismo.

Ciò che invece è importante evidenziare è che il pubblico, sempre poco presente ma comunque in fase di rinnovamento, è sostanzialmente regredito a un utilizzo televisivo del teatro. Ciò che si è perso, nel corso del secolo scorso, e che non si riesce ancora a riconquistare, è quell’interazione tra palco e platea: l’abitudine a essere meri (tele)spettatori distratti si ripercuote sulla capacità di critica dell’uditorio. Ciò che avviene troppo spesso nei teatri romagnoli e italiani è questa pantomima dell’applauso di circostanza, fatto senza aver davvero apprezzato l’esecuzione ma messo in pratica solo per convenienza sociale: con ciò non si auspica certamente la becera pratica del “buare”, davvero poco simpatica, lesiva delle fatiche degli esecutori e messa spesso in pratica da parte di prezzolati ascoltatori al solo fine di ledere un interprete per valorizzarne un altro, tuttavia una sana coscienza del pubblico, che deve andare di là dell’impressione meno che epidermica, è una conditio sine qua non grazie alla quale la cultura potrà davvero sperare di arginare la volgarità dilagante che, riversandosi sull’arte, la dilania nel profondo.

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