Quel piccolo, discreto, potente lemma che è il bis, invocato a teatro

Solista ConcertoChi ha buona memoria ricorderà sicuramento come a Sant’Ambrogio il pubblico della Scala aveva chiesto a gran voce all’uscente presidente della Repubblica di accettare un nuovo mandato, un bis. Per tacer degli eventi che hanno portato Sergio Mattarella a un secondo settennato, va posta attenzione a quel piccolo, discreto, ma potente lemma che è bis.

Per Treccani questo è in realtà un prefisso che significa due, due volte, doppio. Oltre alle colazioni con latte e biscotti o a ricordi delle gesta dei bisnonni, è in ambito musicale che queste tre piccole lettere assumono un significato mostruosamente potente. Urlata a gran voce, questa parola si trasfigura in una decisa richiesta del pubblico. In inglese si usa il termine encore, derivato dal francese ed entrato nell’uso a metà del Settecento proprio col significato di ancora, quasi una supplica per un’intima necessità. Analizziamo, però, cosa sia un bis e quando sia opportuno (e non opportuno) chiederlo. Va detto, innanzitutto, che questo dovrebbe essere un evento eccezionale e dovrebbe esser concesso (sì, concesso) come evento straordinario.

Vi è, tuttavia, una prassi ormai consolidata che prevede che in coda ai concerti ci sia una piccola “pantomima” nella quale gli artisti vanno e vengono dal palco mentre il pubblico batte le mani ululando la magica parolina.
Questa pratica è, di norma, accettata di buon grado dai musicisti anche se spesso vengono proposte riesecuzioni di brani in programma: c’è da dire che per certi versi questa pratica è quasi meglio di un brano d’effetto che si discosta dal filo conduttore che lega le composizioni, tuttavia, anche quest’uso è comunque ben diffuso, soprattutto nei concerti più prestigiosi. Esiste, infatti, questa idea secondo la quale il brano più pirotecnico va serbato per il bis. Se è prevista la presenza di un solista che dopo l’esecuzione lascia il campo all’orchestra, allora sarà al termine della sua esibizione che eseguirà un bis, ritirandosi poi nel camerino.

Un discorso a parte va fatto per l’opera. Se è vero, come è vero, che c’è sempre stata l’usanza di ripetere arie particolarmente intense, oggi la maturità culturale del pubblico potrebbe far aumentare la considerazione dell’unità drammaturgica a scapito del gorgheggio del cantante di turno che, sebbene bravissimo, qualora fosse costretto alla ripetizione, dissolverebbe quel trasporto emotivo che rende magica l’aria che si respira in teatro.
Anche se, qualsiasi artista, alla fine vive per un bene, bravo, bis!

Blog a cura di: Enrico Gramigna
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