Comelade e Lynch, due geni da (ri)scoprire

Voglio ringraziare pubblicamente – anche se con colpevole ritardo – il Teatro del Drago per aver rispolverato dall’oblio un piccolo genio della musica contemporanea, per giunta in uno spettacolo di teatro di figura (intitolato Grande Circo Nave Argo e da poco riproposto a Marina Romea) rivolto a un pubblico soprattutto di bambini. La strabordante musica che accompagna tutta la rappresentazione della compagnia ravennate è infatti del franco-catalano Pascal Comelade, un nome storico spero noto a tutti gli appassionati, ma che non è mai stato in grado di cavalcare nessuna moda, né di finire sulle copertine delle riviste patinate, né di guadagnarsi fiumi di parole neppure su internet, dove si accavallano invece speciali sul synth-pop o sull’ultima next big thing inglese, tanto per dire. Qui mi piaceva solo segnalare il suo nome e invitare qualche lettore distratto a riscoprire la sua opera, che passa dal jazz alla musica popolare, dal tango al valzer, dalle ninnenanne alle marcette da parata. Il tutto all’insegna della melodia cristallina, della malinconia e allo stesso tempo del gioco e della leggerezza, per un risultato finale che sa tanto di balere immaginarie, romanzi surreali o luoghi fuori dal mondo e lontani dalla frenesia del nostro tempo. Utilizzando spesso strumenti giocattolo, appunto, oppure autocostruiti, tra l’altro finiti anche in mostre a lui dedicate. E il tutto, nel corso della sua carriera (non sto a elencare neppure un disco, si può partire nella riscoperta un po’ da dove si vuole), anche grazie a collaborazioni prestigiose con personaggi del calibro di Robert Wyatt, Faust, Pierre Bastien o Pj Harvey. Un piccolo mito che meriterebbe più attenzione, senza dubbio. Un grande mito, invece, lo sanno tutti è David Lynch, anche se in campo cinematografico. Ora però ha pensato bene di andare ad allungare la fila degli irregolari (un po’ come Comelade) in musica. In questi giorni ha infatti pubblicato il suo secondo disco, The big dream, dopo l’ottimo esordio di due anni fa, Crazy Clown Time. Una sorta di conferma, quest’ultimo lavoro, che il primo non era stato (solo) un divertissement ma, chissà, l’inizio di una nuova carriera. Senza dubbio si tratta di due ottimi dischi di blues contemporaneo “mutante”, chiamiamolo così, con la voce di Lynch ad aggiungere inquietudine (non poteva essere altrimenti) al tutto. Anche in questo caso il consiglio è di scoprire questa musica poco allineata, senza pregiudizi legati al nome e al passato ingombrante del suo autore.

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