Sui “nuovi” Radiohead e i fan dei Radiohead

Quello che volevo scrivere, prima di vedere il concerto, era che va bene, i Radiohead sono bravi, sono fighi, eccetera eccetera, ma che non è mica il 2003, quando li vidi suonare a Ferrara. No, adesso il tempo è passato anche per loro, gli ultimi dischi non sono forse all’altezza, i pezzi nuovi in scaletta sono troppi. Cose del genere. Insomma, avrei voluto tirarmela un po’ e fare finta di stroncare un concerto dei Radiohead, che fa pur sempre curriculum. E invece. Invece, come un poppante che rivede la sua mamma dopo che è andata al lavoro, tempo neanche un’ora e avevo le lacrime agli occhi. Esattamente alla settima canzone in scaletta, There There, singolo anticommerciale del loro terzultimo album, Hail To The Thief, anno 2003, quello del ritorno a sonorità un po’ più rock rispetto alla svolta elettronica di Kid A di tre anni prima. Svolta da cui non si può prescindere per parlare di cosa siano davvero i Radiohead. Ricordo ancora lo shock nel sentire quel disco, lo smarrimento senza le solite chitarre, la voce di Thom Yorke che non c’era più, filtrata e nascosta tra battiti digitali. Poi è diventato un capolavoro, Kid A, ma non è mica stato facile. E ha avuto anche il merito di aprire un po’ le orecchie agli appassionati di musica rock. Devo ammettere, per esempio, che probabilmente fu grazie ai Radiohead che iniziai a scoprire l’universo della musica elettronica, sperimentale e d’avanguardia che ho poi fagocitato in questi anni.
Ma tornando al live di Bologna e a quella canzone numero sette da lacrimoni – che inizia con addirittura quattro batterie (sul palco i cinque di Oxford sono in realtà in sei, grazie alla presenza di una seconda batteria fissa, suonata da Clive Deamer, già nei Portishead) e finisce con la strepitosa chitarra di Jonny Greenwood che ti fa quasi perdere l’orientamento – va detto che non è stata neppure suonata così bene, come d’altronde è capitato a quelle più prettamente rock inserite in scaletta, a testimoniare il fatto di come ora i Radiohead siano decisamente più a loro agio con la strumentazione elettronica e a muoversi in atmosfere più intime, raffinate. Quelle degli ultimi due album (In Rainbows, anno 2007, e soprattutto The King Of The Limbs, dell’anno scorso, riproposto praticamente per intero) che non saranno certo i migliori della loro carriera, ma che dal vivo hanno una resa strepitosa. Non per niente l’iniziale Lotus Flower, con i suoi ritmi spezzati, la si ricorderà per tutto il concerto. Oltre due ore di grande musica con due bis, 24 canzoni, una scenografia mozzafiato con dodici schermi a volteggiare sopra le teste dei musicisti che riproducevano in diretta attimi della loro esibizione in rapida dissolvenza. Da rimanere a bocca aperta. Ancor più se consideriamo che la voce di Yorke – apparso addirittura in forma, meno alienato del solito – pare migliorare col tempo. “Canta come un Dio”, è il commento più gettonato il giorno dopo in rete. Ed è vero. Attorno a lui un suono calibrato al millimetro, che sfiora la perfezione, mai sopra le righe, e che è anche vero, non sempre coinvolge completamente. Perché è tutto tranne che ruffiano. Tutto tranne che rock da stadio. Nonostante, quasi inspiegabilmente, siano in 25mila anche al parco Nord di Bologna (dopo Roma e Firenze) ad ascoltare questo gruppo di sofisticato rock elettronico, che non si direbbe invece proprio per tutti. La maggior parte dei presenti si lamenterà per la scaletta (20 pezzi su 24 sono post Kid A, Kid A compreso), ma la verità è che proprio la scaletta certifica lo stato di salute della band, pienamente concentrata sul presente, senza alcun compromesso. Non è stato un “best of”, ecco, come quei concerti di gruppi senza più nulla da dire ma con un passato importante alle spalle. La verità è che il problema non è stato la scaletta, ma piuttosto i fan dei Radiohead, che saranno pure meno molesti degli altri “fan”, ma battono le mani fuori tempo tutti insieme, cantano a squarciagola sovrastando il loro mito, fotografano e filmano con l’i-phone e si interrogano per tutto il tempo sulla presenza in scaletta di Creep. No, Creep non l’hanno fatta, naturalmente, fatevene una ragione. Quelli erano altri Radiohead. Ma non lamentatevi, perché eravate comunque di fronte a quella che probabilmente resta ancora la band migliore del pianeta.

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