I venti dischi dell’anno

Il mio disco dell’anno sarebbe probabilmente quello di Scott Walker, per i motivi che ho tentato di elencare l’ultima volta su questa rubrica e che vanno anche oltre il valore dell’opera in sé. Qui voglio però evitare di sceglierne uno, di disco, indicandone invece venti (suddivisi in fasce e inseriti all’interno di esse in ordine alfabetico) che hanno segnato questo 2012. Album scelti dopo una full immersion di alcuni mesi che spaziano tra i generi più disparati. Sui primi dieci pochi dubbi. Gli altri dipendono un po’ anche dall’umore…
I PRIMI CINQUE. Sono innamorato del progetto alt-rock-pop di quel piccolo genio che è David Longstreth, cantante, compositore e (grande) chitarrista, forse l’unico in grado di citare contemporaneamente i Queen, il glam, l’hard-rock  e il folk canterburiano, inserendoci pure delle coriste, e risultare credibile. Con i suoi Dirty Projectors ha pubblicato nel 2012 Swing Lo Magellan, pezzo più accessibile della loro storia, da avere un po’ come tutti gli altri.
Non sono un esperto di rap, o hip hop, ne ascolto ogni tanto, ci provo. Il disco di questo Kendrick Lamar, Good Kid, M.A.A.D City, per dirla in maniera giovane, spacca di brutto. Se questo è rap – ma non è solo rap, dentro c’è un po’ di tutto – ben venga.
Un po’ di hip-hop c’è anche nel capolavoro quasi mainstream (ma cosa vuol dire?) di  Frank Ocean che con Channel Orange ha creato un manifesto del genere neo-soul/R&B che mai mi sarei aspettato di riuscire ad apprezzare e che invece ti prende anima e corpo.
Passando invece a cose meno accessibili ecco una futura pietra miliare dell’elettronica, il nuovo doppio album di Shackleton, Music For The Quiet Hour / The Drawbar Organ Eps, dove l’artista inglese si spinge oltre il dubstep e il tribalismo che ne avevano caratterizzato le gesta, sperimentando, soprattutto con “the quiet hour”, un mix tra psichedelia e Steve Reich. F-e-n-o-m-e-n-a-l-e.
La cinquina si chiude quindi con Scott Walker e il suo Bish Bosch, un’esperienza come detto che va “oltre”, e cesella la trilogia di un genio iniziata a metà anni Novanta.
I SECONDI CINQUE. Il nuovo disco di Fiona Apple,The Idler Wheel… non è il primo del lotto solo per motivi alfabetici, ma anche quello che più meriterebbe di stare tra i primi cinque dell’anno. La cosa forse classicamente più “bella” del 2012. Folk-pop scheletrico e una splendida voce che tenta di riportare su disco una vita, la sua, che è stata anche difficile. Ancora elettronica impegnativa, tra dark ambient e sperimentalismi, un mattone che però darà grandi soddisfazioni a chi ci si mette attentamente, è quella del doppio, Elemental, degli inglesi Demdike Stare che non prende la palma di disco elettronico dell’anno solo per colpa di Shackleton. Pareva quasi uno scherzo, e invece è un gran viaggio psichedelico il nuovo Flaming Lips, frutto di svariate collaborazioni che rendono più vario il tutto.
Ekstasis di Julia Holter è un piccolo gioiello in grado di unire avanguardia, pop, neoclassica e world music mentre a chiudere la seconda cinquina è il magnifico ritorno degli Swans di Michael Gira, anche in questo caso un impegnativo doppio album, TheSeer, che allo spirito dark-folk apocalittico unisce alcune lunghe sperimentazioni. Ispiratissimi.
I TERZI CINQUE. Bloom dei Beach House è il disco rock-pop d’autore più riuscito dell’anno e sono convinto che – differenze stilistiche a parte – il parallelo con i National utilizzato da alcuni critici abbia un senso. Album di gran classe quello di Neneh Cherry con il trio jazz di Mats Gustaffson, The Cherry Thing, raffinatissima raccolta di cover che assumono però tutta una nuova veste e il suono, beh, è un suono della madonna.
Con il passare degli ascolti mi hanno poi definitivamente convinto due album troppo sottovalutati come il connubio tra lo spirito post-punk e la nuova veste elettronica dei Liars di Wixiw e Mature Theme di Ariel Pink, che tra pop e psichedelia azzecca secondo il sottoscritto le melodie migliori della sua carriera. Chiude – ma solo per motivi alfabetici, in quanto era forse un album da seconda fascia – Andy Stott, che con Luxury Problems spinge la techno al massimo della ricercatezza.
GLI ULTIMI CINQUE. Rapide segnalazioni per gli ultimi cinque dischi, comunque da top 20 dell’anno e quindi molto belli. Il cantautorato senza tempo tra violini e fischiettii di Andrew Bird (con addirittura due album, Break It Yourself e Hands of glory), quello del maestro Leonard Cohen (tornato dopo otto anni con Old Ideas), quello sussurrato di Bill Fay in Life is People, e poi il rock psichedelico che fa l’occhiolino al pop dei Tame Impala di Lonerism e il bel debutto (meglio degli incensati Alt-J) dei Django Django, che fa venire alla mente l’indimenticabile Beta Band.

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