Dai Muse a Sun Kil Moon Ascolti in libertà

A questo giro, alcune segnalazioni sparse, a partire dall’evento (secondo alcuni “unico al mondo”) che si è svolto a Marina di Ravenna dall’1 al 5 giugno. Si chiama Beaches Brew ed è probabilmente al momento l’unico festival italiano in grado di competere con quelli esteri. Dove per festival non si intende una rassegna di concerti spalmata su diverse settimane, come capita spesso di leggere dalle nostre parti, ma di musica dal vivo ed eventi collaterali concentrati in pochi giorni consecutivi. All’insaputa magari di buona parte della città di Ravenna, all’Hana-Bi in quei cinque giorni sono state registrate 10mila presenze, tra cui 2mila turisti, molti dall’estero, con Marina di Ravenna entrata nella mappa degli eventi da non perdere dell’estate nei magazine di tutto il mondo a fianco di Barcellona o Sydney, tanto per dire. Credo sia giusto esserne orgogliosi, o anche solo passare parola.
Passando invece alla mappa delle ultime uscite discografiche, prima della pausa estiva, oltre all’ottimo ritorno dei Blur di cui si è già parlato, è arrivato per esempio il triste momento di riascoltare i Muse. Io ci ho provato, perché in fondo la loro carriera era partita in maniera piuttosto promettente e magari potrebbe riprendersi, mi sono detto. Magari la prossima volta, però, perché Drones torna in territori più chitarristici rispetto alla recente sbornia elettronica ma continua a essere piuttosto imbarazzante, un mix tra riff Ac/Dc, rimandi agli U2 (il cui loro ultimo disco fa un figurone, al confronto) e l’ormai solito, in definitiva, rock-tamarro-alla-Muse pronto a sbarcare negli stadi di tutto il mondo. Restando in territori più o meno kitsch, poteva far paura la sigla FFS, sorta di supergruppo composto dai Franz Ferdinand e lo storico gruppo glam Sparks, che invece riescono a trattenersi a vicenda dando vita a un album molto pop e leggero, ma anche raffinato, sicuramente meglio degli ultimi Franz Ferdinand. A suo modo eccessivo come da pronostici anche il nuovo Faith No More, che io trovo piuttosto urticante, ma che è un lavoro onesto, che capisco possa piacere ai fan. Restando in certi ambiti popolari, anche se di generi diversi, è uscito il nuovo album delle star inglesi Florence & The Machine che, superate le prime diffidenze sul tono molto mainstream della musica, si rivela, nella sua eleganza, aver qualcosa da dire nel campo rock-soul al femminile. Eccoci poi a Torres, altra “nuova Pj Harvey”, il cui primo album era piuttosto acerbo e deludente ma che ora con questo Sprinter passa l’esame, tra ruvidità e aperture melodiche mai troppo scontate (finora però la cantautrice dell’anno resta Courtney Barnett con la sua irresistibile vena slacker). Disco chiacchieratissimo in questo periodo soprattutto tra gli addetti ai lavori è poi il vero e proprio debutto di Jamie XX, elettronica molto variegata che potrebbe alla fine essere tra le cose migliori dell’anno con il passare degli ascolti. Costretto a fare i conti (per la prima volta in vita sua) con un certo hype, anche Sun Kil Moon, ossia Mark Kozelek, raggiunto da un’improvvisa popolarità a quasi 50 anni grazie a un piccolo capolavoro di folk depresso com’era Benji. Il nuovo Universal Themes, un anno dopo, non ha quelle compattezza e intensità e a volte pare volersi quasi prendere gioco dell’ascoltatore (in stile Kozelek, insomma), restando però comunque un buon disco. Infine, applausi per il nuovo straordinario lavoro di Colin Stetson ma lo spazio stringe e ne riparleremo quando sarà tempo di scrivere dei migliori dischi del 2015…

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