Musica dell’anno: dieci (più uno) album da ricordare di questo 2020

 

E ogni dicembre la domanda si fa sempre più pressante: ha ancora senso stilare classifiche di fine anno di dischi che sono sempre meno “dischi”, in un periodo storico in cui l’ascolto è sempre più orientato verso le “playlist”? Più in generale, si possono fare davvero classifiche senza tener conto delle barriere tra generi, ormai definitivamente cadute, classifiche in cui mettere a fianco un album di un cantautore italiano, un altro di una popstar internazionale e poi magari quello del gruppo di elettronica sperimentale lungo quattro ore? La risposta a entrambe le domande è ovviamente no, ma quello delle classifiche di fine anno continua a essere l’appuntamento più atteso tra appassionati e lettori delle riviste musicali (cartacee o virtuali che siano) oltre che lo spunto per un bilancio di quello che è accaduto, musicalmente parlando.

La produzione di album, per entrare nel dettaglio di questo surreale 2020, non è poi stata così toccata dalla pandemia e c’è il solito imbarazzo della scelta. Per una volta però tutti sapevamo che “il disco dell’anno” sarebbe stato quello già da aprile, quando è uscito Fetch the Bolt Cutters, quinto album in 24 anni di carriera della meravigliosa Fiona Apple, su cui si è aperto un dibattito infinito non tanto sulla musica in sé, ma su come è stato accolto dalla critica, tra standing ovation inaspettate e critiche a standing ovation ritenute poco spontanee: una roba da nicchia della nicchia, su cui davvero è bene stendere un velo pietoso, limitandosi a dire che se non è il disco più bello dell’anno è comunque sicuramente un grande album di cantautorato “indisciplinato”, in cui si respira arte e “artigianato”, ribellione e libertà, e in cui i suoni fanno ancora la differenza.

Più lineare ma ugualmente ispirato, il disco di un’altra donna, la popstar internazionale di cui sopra, quel Folklore di una Taylor Swift improvvisamente “National-izzatasi” che all’apparenza potrebbe sembrare solo il tentativo di rifarsi una verginità musicale, mentre in realtà è una raccolta di canzoni folk contemporanee di gran classe, da ascoltare. Così come il suo “gemello” Evermore, uscito a sua volta a sorpresa a fine anno e a un primo ascolto forse pure più interessante…

Restando dalle parti dei formati “classici”, spicca il monumentale grae di Moses Sumney, forse complessivamente davvero l’album più “bello” ascoltato quest’anno (tra R&B, art-pop, jazz, folk…), mentre in un’ipotetica cinquina di fine anno non può mancare il poderoso hip hop dell’ultimo Run The Jewels, RTJ4.

A chiudere, questa cinquina, un disco più complesso, elettronico senza in realtà esserlo, il manifesto di ambient contemporaneo intriso di “dark” jazz di Cenizas, di Nicolas Jaar, davvero notevole.

Volendo continuare nel giochino e completare invece una top ten di questa non-classifica del 2020, da ricordare il disco forse non proprio riuscito ma ancora una volta sorprendente (e questa è sempre una grande qualità) di uno degli artisti/e più fuori dagli schemi di questi anni, in ambito quasi-mainstream, in grado di unire l’elettronica e il clubbing al mondo dell’arte, la sua indole teatrale perfino al reggaeton: Arca ci costringe a rivedere i nostri parametri a ogni ascolto, anche di questo suo ultimo KicK i.

Album da conservare tra i ricordi più belli di quest’anno è anche la piccola-grande struggente autobiografia (non solo) musicale raccontata tutta d’un fiato nei tre quarti d’ora di Microphones in 2020 (tutto su Youtube nel video qui sotto) da uno dei grandi cantautori sconosciuti ai più di questi decenni, Phil Elvrum, che in questa occasione rispolvera appunto il suo progetto Microphones.

Tornando a un album di canzoni, un altro comunque che cerca in tutti i modi di non dare punti di riferimento all’ascoltatore, apparentemente slegato e poco coerente, ma molto, molto contemporaneo, pur giocando con i cliché della musica rock, è il nuovo di Grimes, Miss Anthropocene. Ma sono tanti i lavori che citano esplicitamente il rock più classico degli anni settanta, ottanta o novanta, tra cui anche gli acclamati (forse pure troppo) Fontaines D.C.; personalmente dovendo sceglierne solo uno, cito quello con più personalità e varietà (se non dovesse bastare il pezzo del video qui sotto), Women in Music pt. III, miglior disco fin qui realizzato dalle (ancora troppo poco conosciute in Italia) americane Haim.

L’ultimo posto della top ten di fine anno è molto personale ed è riservato a Lorenzo Senni, non perché sia un cesenate che pubblica su Warp – anzi onestamente sì (su Warp!) – ma perché nel suo Scacco Matto riesce a rendere malinconica e nostalgica la musica elettronica puntando tutto su una caratteristica spesso dimenticata, la semplicità.

E poi, scusate, nel 2020, è uscito un bel disco di Bob Dylan, forse tra i più belli dell’anno, ma tornando alla premessa iniziale, davvero si può mettere Bob Dylan in una classifica con Lorenzo Senni?

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