Il mistero del rock dei Verdena

Sarà che solitamente più cercano di farmi odiare qualcuno e più questo qualcuno finisce per starmi simpatico. E sarà che tutta questa energia utilizzata sui social per insultarli mi pare potesse essere spesa meglio. Ma la polemica sui Verdena che “insultano il fonico e spaccano una chitarra durante un concerto per poi chiederne una in prestito su Facebook” – preferisco fermarmi qui e non entrare nei dettagli – credo abbia davvero assunto dimensioni troppo grosse. Forse anche a causa dell’invidia nei loro confronti che sta montando sempre più forte all’interno della fantomatica scena italiana che non riesce proprio a sopportare il loro successo, ottenuto senza alcun sputtanamento artistico (penso ai Marlene Kuntz con Skin, per esempio). Mi spiego meglio: i Verdena continuano a suonare “strani” – ok, stiamo comunque parlando di pop-rock – il loro nuovo album è pieno di chitarre distorte, fuzz, effetti, piccole sperimentazioni, la voce è più che altro uno strumento aggiunto, necessita di attenzione e diversi ascolti – ok, ci sono anche molti momenti melodici irresistibili facili facili, ovvio –, ma nonostante questo ha debuttato al primo posto nella classifica dei dischi più venduti in Italia, davanti a J-Ax, Bon Jovi, Jovanotti, Tiziano Ferro. Insomma, un fenomeno quasi da studiare. Anche perché si tratta del secondo volume di un altro nuovo disco, uscito solo sette mesi dopo il primo “Endkadenz” che, come noto, la Universal non ha voluto pubblicare in formato doppio come invece il precedente, monumentale, “Wow” di quattro anni prima. Ecco io non so quale sia il pubblico dei Verdena (non potendomi considerare un loro fan, dato che fino all’anno scorso non avevo neppure mai ascoltato un loro disco dall’inizio alla fine, credo), ma mi rincuora il fatto che ci siano sicuramente anche ragazzini appassionati di una band che tendenzialmente omaggia il rock americano degli anni sessanta e settanta. Il tutto, per arrivare a questo nuovo album, divertendosi a giocare con i suoni in totale libertà. E così ci puoi sentire i riferimenti alla psichedelia, ai 13th Floor Elevator già omaggiati in passato, così come ai Led Zeppelin o ai Motorpsycho, passando per echi di Battisti, forse, influenze grunge (o per restare in Italia i soliti Afterhours), arrivando perfino a una citazione più o meno nascosta degli Arcade Fire (la chitarra di “Troppe scuse”) e la parte strumentale di “Dymo” che ricorda invece il capolavoro di quest’anno di IOSONOUNCANE, fan dichiarato, tra l’altro, degli stessi Verdena. Loro no, invece, non hanno ancora pubblicato un vero capolavoro. Troppi alti e bassi, in carriera e all’interno dello stesso disco. Però ecco, non sono tra quelli che si scandalizzano quando leggono critici di professione (si fa per dire) che dicono che sono la più grande rock band italiana.

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