Il nuovo King Krule, da prendere sul serio

Quando si parla di rock in questi ultimi anni spesso ci si lamenta di un mancato ricambio generazionale, del fatto che i dischi più importanti e riusciti siano prodotti dalle stesse band o dagli stessi artisti sulle scene da anni. Questo 2017 potrebbe in qualche modo far cambiare idea a qualcuno. Il merito sarà prima di tutto della neozelandese Lorde, che a 20 anni ha pubblicato il suo secondo disco, Melodrama, di cui abbiamo già parlato su queste pagine, unendoci al coro di meraviglia per un prodotto che sa essere pop (e soprattutto bello) senza cadere nella banalità e lasciando da parte l’aspetto commerciale (a partire dai suoni) nonostante i milioni di dischi venduti del debutto (quando aveva 16 anni).
The OozE per proseguire ora anche con The Ooz, ambizioso secondo album con lo pseudonimo King Krule del londinese Archy Ivan Marshall che ha compiuto questa estate 23 anni – e che ha già incredibilmente pubblicato svariati lavori con il suo nome di battesimo o con l’altro pseudonimo Zoo Kid – e che rappresenta senza dubbio finalmente qualcosa di nuovo nella scena cantautorale contemporanea. Il ragazzo ha qualcosa di interessante solo dall’aspetto: capelli rossi, lentiggini, faccia pallida, aria dinoccolata, look trendy ma non troppo e tendente al nerd. Poi lo ascolti cantare e l’interesse aumenta esponenzialmente, per fortuna, con quel misto tra un giovane Tom Waits e Morrissey, o per dirla con il giornalista di Noisey, “un Joe Strummer con un cancro alla gola”. Il primo disco a nome King Krule (“6 Feet Beneath the Moon”, nel 2013) faceva intravedere tutte le sue qualità, aveva colpito pure Beyoncé e qualcuno aveva già gridato al capolavoro. In realtà era semplicemente un bel disco di un cantautore un po’ strano e con grande personalità. Questo invece è qualcosa di diverso, qualcosa che potrebbe restare tra le migliori produzioni di questi anni, al netto di una certa autoindulgenza: un viaggio surreale tra nonsense e ambientazioni musicali che passano dal jazz al post-punk, fino a una sorta di hip hop urbano e a canzoni sfuggenti al limite della narcolessia, per un disco da oltre un’ora di musica che è – a dispetto dell’aspetto quasi fumettistico dell’autore – da prendere davvero sul serio.

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