La grande colpa di Vasco Rossi

Vasco Rossi La Mostra 1Nel mondo, a quanto pare, non erano mai stati venduti 220mila biglietti per un solo concerto. Il record è stato battuto in Italia, a pochi chilometri da qui, per il concerto a Modena di Vasco Rossi, l’1 luglio, quando festeggerà ufficialmente i suoi 40 anni di carriera. Per l’occasione, tra le altre cose, il Comune di Modena ha anche sospeso gli esami di maturità.

Qualcosa, tutto questo, vorrà pur dire. Che siamo un paese di merda, per esempio, potrebbe suggerire qualcuno senza avere poi tutti i torti. Ma forse anche che Vasco è riuscito più di tutti gli altri a trasmettere qualcosa? In ogni caso, per noi che lo abbiamo odiato in tutti questi anni, diventa ancor più difficile trovare l’aspetto positivo. Vasco, diciamolo chiaramente, per chi come noi (in fondo non eravamo poi così pochi) vedeva il rock come qualcosa di serio e, preferibilmente, qualcosa di anglosassone, ha rappresentato il male assoluto. Tamarro, sguaiato, nazionalpopolare ma orgogliosamente – e per tutti gli altri – rock (e questo non lo potevamo proprio sopportare), di una volgarità troppo poco intellettuale per i nostri gusti, pur non essendo poi noi nemmeno tutti questi intellettuali. C’è da dire a nostra difesa che fondamentalmente avevamo ragione. Poi però, per essere completamente onesti, bisogna anche ricordare che Vasco Rossi non è sempre stato quello che noi, nati tra gli anni settanta e novanta, abbiamo vissuto in prima persona. Fino al 1983, anno di uscita di “Bollicine” (un buon disco, secondo la rivista Rolling Stone addirittura il migliore della storia della musica italiana, scelto da «una giuria composta da protagonisti della cultura e dello spettacolo» che comprendeva però anche Valentino Rossi, per dire), rappresentava probabilmente davvero il lato anticonvenzionale del rock italiano e i primi dischi, riascoltati oggi, sono sorprendenti. “Non siamo mica gli americani” del ‘79 e “Colpa d’Alfredo”, dell’anno successivo, in particolare, sono qualcosa di straniante, tra testi nonsense, coretti surreali, voce a volte recitata, tastiere, flauti, sassofoni, a fianco di alcuni futuri inni da stadio, per un cantautore fuori dagli schemi, complessivamente, in grado di dare voce a persone diverse, senza essere paladino di niente e nessuno.

La sua grande colpa, probabilmente, è stata quella di non morire di overdose, o “in tragiche circostanze”, a metà anni ottanta. Ora lo staremmo un po’ tutti venerando come un Rino Gaetano. E invece tocca metterci a piangere pensando che c’è gente che andrà pure a vedere il suo concerto in diretta al Cinemacity.

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