La popstar del futuro, che in realtà non fa pop

Billie EilishScusate l’aneddoto personale, ma inquadra bene il tema. Mio figlio di quasi 10 anni ha iniziato ad ascoltare in semi-autonomia musica su Spotify e la sua curiosità lo porta spesso nella playlist delle “30 songs” più ascoltate. Ce n’è una in particolare che nelle scorse settimane ha voluto far sentire a me, a tutta la famiglia, agli amici.

«È stranissima, non c’è la musica», dice. E in effetti devo confessare che all’inizio non credevo fosse davvero in una playlist delle 30 canzoni più ascoltate. La musica, sì, praticamente non c’è. Solo o quasi una batteria elettronica e un canto a mezza voce, a volte sussurrato, qualche lampo di elettronica, tutto molto minimale e anche, con mio sommo stupore, abbastanza figo.

Il pezzo si chiama “Bury a friend” ed è di Billie Eilish. Il nome, in tutta sincerità, fino a un paio di settimane fa non mi diceva assolutamente nulla, nonostante abbia poi letto che un suo pezzo è diventato virale già nel 2016.

Quando Billie Eilish aveva 15 anni. Oggi ne ha 17 (diciassette) e il 29 marzo è uscito il suo album di debutto, When We All Fall Sleep, Where Do We Go?, che secondo gli addetti ai lavori arriverà al primo posto di vendite sia negli Stati Uniti che in Gran Bretagna al termine della prima settimana, mentre quello che già è certo è che il giorno della pubblicazione del disco Billie Eilish è stata l’artista donna più ascoltata sul web al mondo con 55,92 milioni di stream, circa il doppio del record precedente di Ariana Grande. Che è un prodotto televisivo, per quanto rivalutato anche dalla critica, così come sono in qualche modo un “prodotto commerciale” anche tutti gli altri fenomeni del pop di questi anni, anche quelli musicalmente più evoluti.

Billie Eilish, invece, è qualcosa che sembrerebbe essere nato dal basso, una teenager che scrive delle ansie e delle paure della sua generazione, utilizzando un computer e poco altro, nella cameretta con il fratello. E se è solo quello che vogliono farci credere, sicuramente la musica in questo senso è convincente. Canzoni che non ti aspetteresti possano arrivare prime in classifica e che invece ci arrivano grazie probabilmente a molti suoi coetanei che si sentono finalmente rappresentati da una ragazza dai capelli colorati che si veste con enormi pantaloncini da basket senza per questo fare rap.

E così di lei si accorge anche la critica, a partire dalle cinque stelle su cinque del Nme fino ad arrivare perfino in Italia, con titoli del tipo: “L’album d’esordio di Billie Eilish cambia le regole del gioco”. In effetti quella che secondo gli addetti ai lavori doveva essere “il futuro del pop” (per citare altri titoli) in realtà non fa pop. E nemmeno rock (come pare abbia invece dichiarato Dave Grohl, paragonandola addirittura ai suoi Nirvana).

Fa un po’ di tutto ma a modo suo, senza regole, una sorta di fai-da-te anno 2019, quindi con l’aiuto dell’elettronica, passando dal cantautorato al dubstep, dalla black ad atmosfere jazz, dall’electro-pop al dark, da suoni trap all’ukulele, mantenendo inalterate atmosfere malinconiche e molto minimali, quando non del tutto cupe.
Alla faccia del music business, con la benedizione del music business.
Mettendo da parte i gusti personali, se non è il disco dell’anno questo…

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