La rivoluzione di Kid A. E poi?

Ricordo ancora chiaramente la confezione che si apre, il compact disc che entra nell’impianto professionale di mio padre e poi il disorientamento dopo aver spinto il tasto play. Minuti interi trascorsi a cercare quella voce tanto cara che era come se fosse sparita. Fino almeno al quarto pezzo. Ricordo poi l’emozione una volta terminato il cd e la voglia di riascoltarlo subito per capire meglio. Perché poche volte è successo nella storia che una rock-band – per quanto atipica e intellettuale e aggiungete voi l’aggettivo che preferite – all’apice del successo si avventurasse in qualcosa del genere. Un disco che sperimenta con i suoni, cerca di allontanarsi dalla tradizionale forma canzone, utilizza l’elettronica ma anche gli archi o gli ottoni, un disco compatto e sempre coerente con se stesso che sembra più destinato a un museo che ai supermercati, ma che miracolosamente riesce a restare comunque popolare. Un disco che ascoltato oggi – ad anni, confesso, dall’ultima volta – suona sicuramente meno rivoluzionario di allora ma non per questo meno gigantesco. Tanta enfasi per dire quello che hanno già notato quasi tutti in questi giorni: Kid A dei Radiohead ha appena compiuto 15 anni. Uscito il 27 settembre del 2000, a tre anni di distanza dal successo interplanetario, appunto, di Ok Computer, rappresentò uno spartiacque per la carriera della band e in generale per certa musica rock. Ecco, inutile davvero qui analizzare un album considerato in maniera piuttosto unanime dalla critica (a parte alcuni burloni e simpatici revisionisti che si divertono a provocare gli animi) tra i migliori (se non il migliore) degli ultimi vent’anni; più divertente invece cercare di capire quali, oltre a Kid A, possano essere i dischi usciti nel nuovo secolo ad aver almeno un pochino scritto la storia della musica rock (in senso lato). Che non è come dire i più belli, ma quelli che sono riusciti ad aggiungere “qualcosa”. L’ultimo di Kendrick Lamar probabilmente (come mi ha risposto in una recente intervista Eddy Cilìa, tra i critici musicali più autorevoli d’Italia), con la sua nuova sintesi di decenni di musica black e rap. Forse il Kanye West di My Beautiful Dark Twisted Fantasy per restare in tema. E poi magari l’hip-hop bianco e malato dei Clouddead, la svolta che i Wilco hanno impresso alla canzone americana tradizionale con Yankee Hotel Foxtrot, la psichedelia del nuovo secolo degli Animal Collective, l’epoca del dubstep in particolare di Burial e Shackleton. E poi? Di nomi appuntati ne avevo parecchi altri. Ma in grado di competere con i Radiohead di Kid A, a ben pensarci, forse no.

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