Quando muoiono i nostri artisti preferiti

Mark Hollis Talk Talk Dies

Mark Hollis

La morte degli artisti continua a sconvolgere la popolazione dei social network con un’intensità che non smette di stupirmi.
Di certo è l’occasione per parlarne e tornare ad ascoltare musica forse a volte anche dimenticata.

Come in parte quella dei Talk Talk, rimasti nella memoria e nel cuore tanto degli appassionati del synth-pop anni ottanta, tanto di chi invece cerca(va) nella musica qualcosa di più, grazie agli ultimi due dischi sperimentali, almeno rispetto ai canoni del pop di quel periodo, due capolavori che riscoperti anni dopo non poterono che lasciare a bocca aperta chi (come me) fino a quel momento aveva collegato alle parole Talk Talk (a proposito, rivedetevi il video su Youtube in cui si presentano in Italia nel programma di Mike Bongiorno) ben altre atmosfere.
Spirit of Eden, anno 1988, il disco della svolta stilistica (seppure in parte annunciata da alcuni dettagli del precedente) che fece chiudere il rapporto tra la band e la casa discografica, è un capolavoro all’insegna dell’essenzialità dei suoni, che vanno dal jazz al blues, in sei pezzi-monumento che superano quasi tutti i sei minuti.

Un percorso che viene addirittura estremizzato nel successivo, nuova pietra miliare del rock fuori dai soliti schemi, Laughing Stock, dove a fare la differenza sono ancora di più i “vuoti” rispetto ai pochi momenti “pieni”.
Due album che tutta la critica dice essere stati precursori del cosiddetto post-rock, molto probabilmente a ragione, e che segnano la fine della carriera dei Talk Talk, con il loro leader e cantante Mark Hollis (ah già) che si farà rivedere con il suo unico, commovente (e inutile aggiungere altro), disco solista nel 1998, prima di sparire per sempre dalla scena musicale (tranne un paio di sporadiche e piccolissime eccezioni) fino alla notizia della sua morte dello scorso 25 febbraio.

Pochi giorni dopo a lasciarci è stato anche Keith Flint, la cui faccia cyberpunk, o qualcosa del genere, è stata tra le icone degli anni novanta musicali (per quelli extra-musicali può bastare Luke Perry, scomparso lo stesso giorno, tra la fibrillazione dei giornali di tutto il mondo) e che aveva debuttato al microfono solo pochi mesi prima del disco solista di Hollis, in The Fat of the Land, terzo album dei suoi Prodigy (prima ne faceva parte solo in quanto ballerino) che in quel periodo insieme a Chemical Brothers e (in forma seppur stilisticamente molto diversa) Daft Punk stavano cercando di portare l’elettronica nel mondo del rock “generalista”.

Praticamente nessuno, come si può ben immaginare, i punti in contatto tra Mark Hollis e Keith Flint, se non appunto il periodo storico dei loro debutti, che peraltro ha visto uscire anche dischi come Ok Computer dei Radiohead, Either/Or di Elliott Smith, Ladies And Gentlemen We Are Floating In Space degli Spiritualized, Mezzanine dei Massive Attack o altri di Beck, Eels, Yo La Tengo, Nick Cave, Belle and Sebastian, i tre Ep della Beta Band. Sperando non servano altri morti per non dimenticarli…

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