La complessità, la leggerezza e la libertà del pop di Thundercat

Thundercat – “Drunk” (2017, Brainfeeder)

Qualche giorno fa in spiaggia sentivo “Club Tropicana” degli Wham, un pezzo che ho sempre ritenuto poco meno che insulso. Invece, messo tra i tormentoni del 2017, spiccava per acutezza di arrangiamenti, per una leggerezza raffinata, figlia di musicisti sopraffini, lontanissima dalla volgarità burina dei successi di quest’anno sciagurato.

ThundercatQualche sera fa, ascoltando Thundercat a cena, mia moglie mi dice che è “easy listening”. Un attimo. Easy listening? Facciamo un passo indietro e chiariamo che Thundercat, al secolo Steve Bruner, è un bassista eccezionale, richiestissimo nei “giri giusti” della black music di Los Angeles, proveniente da una famiglia di musicisti (suo padre suonava con Diana Ross, i Temptations, eccetera). È un classe ’84, ma vanta già una carriera incredibile: bassista dei Suicidal Tendencies per una decina d’anni fino al 2011 (ok, non il periodo migliore..), di Erykah Badu, di Kamasi Washington (ha suonato su Epic, capolavoro assoluto del 2015), nonché eminenza grigia dietro a grandi successi rap come To Pimp A Butterfly di Kendrick Lamar, gli ultimi album di Flying Lotus, e recentemente anche Childish Gambino. Quindi Thundercat è eclettico e virtuoso, canta, suona, produce, insomma pare la spezia perfetta per ogni disco altrui. E i suoi solisti? Come spesso accade in questi casi, sono quelli in cui si sfoga, si diverte, fa quello che gli pare. Sono frammentari, hanno un senso di deliziosa incompiutezza, parlano per schizzi. A me hanno sempre fatto un effetto molto fusion (sì, ma senza gli assoli, mettetevi l’anima in pace, amanti dei Weather Report), è tutto molto arrangiato. Ma con leggerezza, ed ecco che capisco l’easy listening che ci sente mia moglie, la stessa sensazione che mi aveva dato “Club Tropicana” in spiaggia. E con un gusto estremamente contemporaneo. Cioè black. Soul, funk, rap, jazz. Ormai è tutto un calderone, e sapete che vi dico? Ci si sguazza bene. Drunk è tutto questo, può spiazzare perché nel 2017 non siamo più abituati ad ascoltare roba così complessa ed eclettica e considerarla pop, ma invece è proprio così, vivaddio. E il successo planetario che sta avendo dimostra che c’è ancora speranza per una musica di qualità, che unisca la freschezza del rap (Pharrel e Kendrick compaiono nel disco), la perizia tecnica d’altri tempi (le cariatidi Michael Mc Donald e Kenny Loggins compaiono in “Show You The Way”), e una gustosissima libertà creativa, che è poi il vero segreto del pop. Da Bacharach a Thundercat, passando per i Beatles, Stevie Wonder e… “Club Tropicana”.

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