Dal tenero “Le pupille” di Rohrwacher a un Lynch da rivedere

Le pupille (di Alice Rohrwacher, 2022)

Ispirata da una lettera che Elsa Morante inviò all’amico Goffredo Fofi (noto critico cinematografico), Le pupille è una piccola storia che racconta come le bambine (“pupille” è il nome latino) di un orfanotrofio durante la Seconda guerra mondiale hanno trascorso il Natale.

Centro della narrazione sarà una zuppa inglese preparata da una devota che chiedeva alle pupille una sorta di “grazia d’amore” e che scatenerà nelle bambine un desiderio di ribellione, soprattutto nella “cattiva” protagonista (Melissa Falasconi è una bambina prodigiosa), la quale diverrà simbolo di lotta e di resistenza. Il contesto storico ci insegna che credenze dell’epoca portassero le persone a chiedere l’intercessione tramite la preghiera proprio alle orfanelle, considerate un privilegiato viatico per la spiritualità.

Le pupilleLe pupille ha molti debiti col grande cinema del passato, soprattutto nel modo di raccontare di Pupi Avati e nel tratteggio della realtà propria dello stile di Pier Paolo Pasolini. Dal primo è stato creato anche lo speciale contesto dei portici bolognesi, che dominano le scene esterne e caratterizzano questa favola metropolitana. Inoltre, sempre a livello di citazioni, si aggiungono titoli di testa recitati in stile Jean Luc Godard. Cast adulto eccellente, formato da Alba, sorella della regista (un’impeccabile Madre Superiora) e dalla caricaturale Valeria Bruni Tedeschi, che interpreta la devota che prepara la zuppa inglese.

Uno degli elementi più originali di questo film è costituito dalla durata di soli 38 minuti, caratteristica che ha portato Le pupille a ricevere una nomination dall’Academy come miglior cortometraggio (il parametro è la durata inferiore a 40 minuti).
Tenero, dolcissimo e amaramente divertente grazie anche al rapporto con le canzoni d’epoca, il film della Rohrwacher è uno dei raggi di sole più luminosi di questo periodo cinematografico. Disney+.

Strade perdute (di David Lynch, 1997)

Torna in sala quello che ormai è un classico del cinema dell’autore statunitense, il primo di un’ideale trilogia formata con Mulholland Drive e il criptico Inland Empire. “Figlio” di quel Twin Peaks che ha rivoluzionato sia la televisione che i suoi spettatori, e pur inferiore al suo capolavoro Mullholland Drive, il film non dimostra per nulla i suoi 26 anni e con la sua storia noir legata al protagonista (Bill Pullman perfettamente in parte) e a un omicidio che non sa di aver commesso, riesce a catturare uno spettatore disorientato e affascinato.

Siamo nel terreno dell’onirico dal quale Lynch non uscirà volontariamente più, e nel quale ci ha regalato grandissime emozioni. Cinema non per tutti, viaggio mentale all’interno di altre menti, che crea la consapevolezza di perdere immediatamente il filo del discorso per poi, forse, riprenderlo solo alla chiusura del cerchio. Da rivedere.

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