“Drive my car”, film lento e colto che non vincerà l’Oscar

Drive My CarDrive My Car (di Ryusuke Hamaguchi, 2021)
Ryusuke Hamaguchi è, in patria ma non solo, il regista del momento. Dopo anni di “militanza” nel campo dei documentari, debutta nel 2015 con Happy Hour, subito premiato a Locarno, fino ad arrivare all’anno corrente coi due film usciti quasi in contemporanea, Il gioco del destino e della fantasia, Orso d’Argento a Berlino e Drive My Car, miglior sceneggiatura a Cannes e Golden Globe Miglior film Straniero, che lo hanno posto con decisione al centro dell’attenzione internazionale.

Ritmato e narrato quasi come un road movie ambientato nella città di Hiroshima, Drive My Car racconta la realizzazione teatrale dello Zio Vanja di Cechov a opera del regista Yusuke che, attraverso la testimonianza della moglie Oto lasciata in una musicassetta ascoltabile durante il viaggio, riesce a mettere in scena l’opera con uno stile molto personale basato su linguaggi diversi, che danno non solo una nota artistica e citazionistica, ma rappresentano uno spunto per la storia stessa di Yusuke. Il viaggio copre la distanza tra l’abitazione del regista e il teatro, e la guida della Saab 9000 di Yusuke è affidata alla bravissima e silenziosa driver Misaki, che pian piano stringerà un singolare, affettuoso e confidenziale legame col protagonista.

Hamaguchi, con una storia esposta in maniera molto lineare, punta a raccontare le persone, i loro pensieri e sentimenti, anche se lega i loro rapporti, e la storia stessa, in maniera forse troppo stretta all’opera di Cechov. Punto centrale della situazione è il viaggio, che viaggio concretamente non è perché rappresenta uno spostamento quotidiano da pendolare, ma che vuole essere un tuffo a tutti gli effetti nell’animo e nell’intimo dei due protagonisti, che pian piano decidono di aprirsi, raccontarsi e scavare nel loro passato.

Drive My Car è un film lento, non facile, molto cinefilo e molto colto, che va gustato con una grande dose di pazienza, sapendo che dura tre ore e ha i titoli di testa dopo 40 minuti, dopo i quali ci si dimentica di cosa possa essere uno sviluppo o un colpo di scena.
ll film è tratto da un racconto di Murakami Haruki presente nella raccolta Uomini senza donne, e in definitiva rappresenta un lungo viaggio nelle solitudini dei personaggi che popolano l’universo di questa storia.
Lungo, faticoso, troppo legato a Vanja per una comprensione perfetta, eppure se gustato fuori dal tempo e senza alcun bisogno di sentire fretta o distrazioni, è un film capace di emozionare.
Non solo è candidato all’Oscar come Miglior Film Straniero in competizione con È stata la mano di Dio, su cui purtroppo è sicuramente favorito, ma è in lizza anche come miglior film in assoluto, premio che non vincerà perché l’altrettanto estremo-orientale Parasite ha vinto da troppo poco tempo.

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