Partiamo dall’originale: il Blade Runner del 1982 rivisto oggi

Blade Runner (di Ridley Scott, 1982)
Blade Runner 1982 Ridley Scott 06Parliamo innanzitutto dell’originale Blade Runner, il mitico, il film uno e trino (per le versioni uscite in Italia) e che da 35 anni è scolpito nella pietra dell’immaginario di tutti noi.

Parliamo dell’antenato per arrivare preparati alla visione del nuovo Blade Runner 2049, che ha la firma produttiva di Ridley Scott e registica di Dennis Villeneuve, autore di film quasi sempre notevoli tranne Arrival (che a questo punto se vi è piaciuto vi assicuro che è il vostro regista preferito!), un film che non sembra quindi un’operazione solamente commerciale.

Torniamo al cult, ambientato in un futuro distopico e precisamente nel 2019 (sigh), in un’era in cui l’uomo ha creato gli androidi perfetti, più forti e agili di noi e dall’intelligenza indotta ma equivalente. I replicanti sono utilizzati in colonie planetarie come schiavi, e alcuni di loro inevitabilmente si ribellano e quattro arrivano sulla terra con intenzioni bellicose. Sarà l’agente Deckard, dell’unità speciale Blade Runner, a doverli ritirare (uccidere), in una Los Angeles buia e piovosa che nasconde insidie e qualche piacevole incontro a sorpresa in campo sentimentale.

L’impatto visivo nel 2017 da una parte è magnifico e dall’altra non facile, perché il film ci vedeva in maniera inevitabilmente diversa da come siamo ora, senza cellulare, internet e schermi piatti (i videotelefoni strappano sempre un sorriso), ma alla conquista dei pianeti, retaggio della cultura reaganiana che aveva un po’ troppo in mente le guerre stellari e meno l’evolversi della nostra società. L’atteggiamento giusto è quello dello spettatore che sta per entrare nel Museo di arte contemporanea, e ammirarne l’allestimento. Altrimenti si rischia, ingiustamente, di sorridere. Il film, ora come allora, è piacevolmente spiazzante, lento nel suo percorso filmico, cupo e pessimista, con note di colore nella scenografia e nei costumi che contribuiscono a renderlo unico, se si pensa al look dei replicanti, capitanati dal duo di eccezione formato da Rutger Hauer e una Daryl Hannah estremamente figlia di una cultura da post disco music. I messaggi e le sottotrame della sceneggiatura invece sono tante e talmente complesse che in questi anni sono stati scritti dei libri in materia; le frasi del film come il monologo finale sono entrate nei modi di dire correnti; certi nomi, fermo immagini e azioni entrate nel nostro immaginario quotidiano; infine, le interpretazioni dettate dai dubbi sulla trama, seppure con un tentativo di chiarificazione data nelle versioni successive (1991 e 2007) restano ancora sospese e  irrisolte, e forse rimandate al sequel. Versione migliore? L’ultima (che supera di fatto quella di mezzo) si distingue per l’assenza della scena finale originale che donava un orizzonte di grande ottimismo nella storia d’amore tra i protagonisti, sullo sfondo di un viaggio e un paesaggio la cui ripresa, curiosità, è una parte della sequenza iniziale di Shining di appena due anni prima (no, non c’entrano niente i due film!). Inoltre in questa versione voluta dal regista c’è inserito il sogno di Deckard con protagonista un unicorno, che vuol dare al film e al suo sognatore un significato ben preciso, che ribalta di fatto alcuni punti di vista essenziali che qui non voglio puntualizzare perché potrebbe esserci qualcuno che non ha ancora visto il film… Esiste qualcuno che non ha mai visto Blade Runner? A voi umani, che nonostante non abbiate visto cose così incredibili, l’ardua sentenza.

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