“The Post”, un film di “una volta” da plaudire: l’ennesima lezione di Spielberg

The PostThe Post (di Steven Spielberg, 2017)
Gli Stati Uniti del 1971 sono un paese carico di contraddizioni, dove spicca tra tutte l’assurda guerra al Vietnam. Il film narra la storia vera dei “Pentagon Papers”, e cioè dei documenti svelati dall’analista Daniel Ellsberg e pubblicati prima dal “New York Times” poi dal “Washington Post”, che svelano tutti i delicati retroscena segreti che fin dagli anni quaranta si celano dietro a questo conflitto.
La vicenda è ambientata all’interno del giornale di Washington e ha come protagonisti la prima proprietaria di un giornale in America, Katharine Graham, e il suo direttore Ben Bradlee, interpretati da Meryl Streep e Tom Hanks che innescheranno un durissimo confronto con l’allora Presidente Nixon, il quale cercherà in tutti i modi di mettere il bavaglio alla stampa. La storia si ripete, è l’ennesima lezione di uno Spielberg che mette mano a una vicenda di quasi cinquant’anni fa per mostrarci l’evoluzione pressochè nulla nel rapporto tra Stato e Verità, in questo caso ambientato oltreoceano ma validissimo per ogni parte del mondo. Lo fa con un film classico, non innovativo, addirittura sorpassato se si pensa a quel capolavoro di Tutti gli uomini del Presidente (ideale seguito della vicenda), servendosi di due mostri sacri del cinema in ottima forma per lanciare quello che è il suo grido d’aiuto nei confronti della società odierna e della sua sciagurata legislatura. Se da un lato assistiamo, come detto, a un film complessivamente già visto e un po’ “vecchio”, dall’altra non possiamo che plaudire al regista per il suo magnifico modo di invecchiare, senza perdere colpi e restituendo (si spera) anche alle nuove generazioni un cinema che purtroppo non c’è più. Il cinema spesso ci ha raccontato la storia, ci ha dato stimoli nuovi, si è sostituito a quella che a volte è parzialità ideologica e altre manifesta difficoltà dovute a pressioni o minacce “dall’alto” (come in The Post) da parte dei media nel portarci la verità. Ed essere un film di quelli “di una volta”, in questo periodo è un pregio.

Black Mirror 4×04: Hang The Dj
Ogni stagione di Black Mirror ha il suo grande momento di cinema, il suo episodio più felice, delicato, sentimentale e sinceramente commovente. Se nella terza stagione San Junipero (sempre un quarto episodio) aveva conquistato forse il podio assoluto tra i migliori episodi di sempre, Hang The Dj gli si avvicina parecchio. Gli appassionati di musica avranno già riconosciuto nel titolo il ritornello di “Panic” degli Smiths, canzone che calza a pennello con tutta la storia, e il cui forte significato (“impicca il dj”) nel film vuole essere un invito a liberarsi delle catene di un dominio. In un mondo fin troppo surreale la vita di coppia la decide un dispositivo superiore, legato al polso, a cui non si può disobbedire e che decide il partner e anche la durata della relazione, che può variare da poche ore all’eternità, vero scopo di chi si affida a questo “Dj sentimentale”. Una coppia si incontra per poche ore e poi fatica ad accettare che il destino che li domina separi le loro strade. Questo è un episodio ad altissimo rischio spoiler e ci fermiamo qui, ma vi basti sapere che è il migliore della stagione (con il primo e l’ultimo) e uno dei gioielli assoluti di tutto Black Mirror. Vi lascio con una riflessione che farete tra voi: il finale a sorpresa è positivo o no? Ai posteri l’ardua sentenza, a voi questo capolavoro di 50 minuti.

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