Processo Cagnoni, istruttoria chiusa: 112 testi in 25 udienze. Sentenza il 20 giugno

Venticinquesima udienza / In corte d’assise le ultime deposizioni. Fissato il calendario del rush finale: 12 giugno requisitoria, 14 giugno discussioni parti civili, 18 giugno arringa difensiva, 20 giugno eventuali repliche e camera di consiglio. Il noto dermatologo è accusato di uxoricidio e ha chiesto di nuovo i domiciliari: si è sempre proclamato innocente e rischia una condanna all’ergastolo

È il prossimo 20 giugno il giorno in cui la corte d’assise di Ravenna potrebbe pronunciare la sentenza del processo per l’omicidio della 39enne Giulia Ballestri, morta il 16 settembre 2016: alla sbarra il 53enne marito Matteo Cagnoni, il noto dermatologo che si è sempre proclamato innocente e ora rischia una condanna all’ergastolo qualora fossero riconosciute le aggravanti di premeditazione o crudeltà. Nella giornata odierna, 11 maggio, si è chiusa l’istruttoria dibattimentale: in tutto sono stati ascoltati 112 testimoni in 25 udienze a partire dal 10 ottobre 2017.

Il calendario prevede ora le ultime quattro tappe del rush finale: il 12 giugno la requisitoria del pubblico ministero (Cristina D’Aniello), il 14 giugno le discussioni delle parti civili (avvocati Giovanni Scudellari per la famiglia Ballestri, Enrico Baldrati per il Comune di Ravenna, Cristina Magnani per Linea Rosa, Sonia Lama per Unione donne in Italia, Antonella Monteleone per l’associazione Dalla parte dei minori), il 18 giugno l’arringa difensiva (avvocati Giovanni Trombini e Francesco Dalaiti) e il 20 giugno eventuali repliche e poi camera di consiglio da cui i giudici (presidente Corrado Schiaretti, a latere Andrea Galanti e sei popolari) usciranno solamente una volta raggiunto il verdetto di primo grado.

L’udienza di oggi è servita per raccogliere le ultime tre testimonianze, deposizioni del tutto marginali nella mole complessiva di quanto già raccolto (in totale sono circa cento ore di audizioni). E una volta liquidate alcune richieste delle parti, l’imputato ha voluto fare dichiarazioni spontanee, circostanza di cui può beneficiare in qualunque momento e già accaduta in passato. Fulcro delle sue parole l’ennesima richiesta di alleggerimento della custodia cautelare: non più in carcere, dove è detenuto da circa 18 mesi, ma ai domiciliari con il braccialetto elettronico in un appartamento in centro a Ravenna preso in affitto dal fratello. Per la difesa non sussistono più esigenza cautelari così gravi da giustificare la detenzione in cella: non il pericolo di reiterazione del reato «perché non è poligamo», non il pericolo di fuga «perché il braccialetto elettronico lo impedisce», non il rischio di inquinamento probatorio «perché l’istruttoria è chiusa». Parere negativo alla richiesta è arrivato dal pm che ritiene vada valutata la gravità dell’accusa (omicidio volontario pluriaggravato) che prevede in astratto anche l’ergastolo: «Ma soprattutto non è accettabile tollerare che la vittima venga ridotta ancora una volta al solo ruolo di coniuge e quindi l’imputato non potrebbe uccidere altre mogli: Giulia era una persona e di questo stiamo parlando, dell’omicidio di una persona». Dopo il parere negativo del sostituto procuratore, l’imputato a chiesto nuovamente la parola: ha fatto in tempo solo a dire che «le parole del pubblico ministero sono un’istigazione al suicidio» prima che il presidente della corte lo interrompesse perché non consentite repliche sul fatto. Entro cinque giorni la corte scioglierà la riserva.

L’ultima udienza della fase istruttoria ha riservato anche un piccolo colpo di scena che segna un punto a favore della strategia dell’avvocato Scudellari. È stata infatti accolta la sua richiesta di escludere dal fascicolo del dibattimento il lavoro di sperimentazione svolto dal consulente tecnico di parte della difesa, l’ingegnere informativo Donato Eugenio Caccavella, che aveva cercato di confutare le accuse realizzando delle simulazioni video di quanto filmato da varie telecamere di sorveglianze per arrivare a dire che non fossero sufficienti per sostenere la tesi accusatoria. La corte ha ritenuto che quel lavoro andasse fatto in regime dibattimentale e quindi non ha ammesso il materiale.

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