Viaggio dentro: la vita quotidiana nel carcere di Port’Aurea

Più di ottanta detenuti, metà stranieri, età media circa 35 anni. Celle aperte 10 ore
al giorno, una telefonata da 10 minuti a settimana. Spaccio e rapine i reati più frequenti

Griglia Carcere6

Questa foto fa parte di quelle scattate nella casa circondariale di via Port’Aurea a Ravenna dai detenuti che negli anni hanno partecipato a “Dante in carcere”, il corso di fotografia con la supervisione del fotoreporter Giampiero Corelli

Per aprire il cancello ci vuole una chiave lunga così, che sta appesa alla bacheca della piccola guardiola, talmente grossa che non abbisogna di portachiavi: l’agente di turno la fa girare nella toppa e il rumore metallico è proprio quello che hai in testa se hai visto almeno un film con una scena in carcere. Siamo entrati nella casa circondariale di Port’Aurea il 20 luglio scorso, accolti da Carmela De Lorenzo, direttrice dal 2009 dopo otto anni nelle vesti di vice.

Spaccio e rapine. Il giorno della nostra visita erano detenuti 85 uomini (in Romagna l’unica sezione femminile è a Forlì) di cui 57 stranieri (67 percento) suddivisi nella quasi totalità fra albanesi, tunisini e marocchini. «Il totale dei carcerati, la percentuale di stranieri e le loro nazionalità sono in buona sostanza delle costanti da ormai qualche anno», spiega De Lorenzo. Sono lontani i tempi in cui, nella stessa struttura, le presenze sfioravano quasi il doppio mettendo tre detenuti per cella invece dei due di oggi. La suddivisione in base alle pendenze con la giustizia dice che 46 sono imputati in attesa di giudizio, 19 stanno scontando una pena definitiva (droga, rapine e furti) e gli altri sono nel mezzo. Circa la metà ha o ha avuto problemi di abuso di stupefacenti.

Il nonno di tutti. Ad alzare l’età media attorno ai 35 anni c’è sicuramente quello che ormai è diventato il nonno di tutti, un 85enne che tre anni fa a Lugo uccise la moglie. Per lui fine pena nel 2021. Vista l’età potrebbe beneficiare immediatamente della detenzione domiciliare a casa di un familiare o di una struttura di accoglienza: nel primo caso non c’è nessuno disponibile e nel secondo è l’uomo a non voler andare. E così ha trovato la sua dimensione in cella.

La struttura. Le camere detentive – dicitura ufficiale per le celle – sono distribuite su tre piani, ognuna di 13-14 mq con due letti a castello, due armadietti, un tavolino, una tv e un lavandino con water separati da una porticina. Ogni piano ha quattro postazioni doccia. «Per legge le porte delle celle devono restare aperte non meno di otto ore al giorno – dice la direttrice –. A Ravenna si aprono alle 8.30 e si chiudono alle 18.30, durante le dieci ore i detenuti possono muoversi all’interno della propria sezione. E dalle 9 alle 11.30 e dalle 13 alle 15.30 possono occupare gli spazi esterni di passeggio». Le porte delle celle vengono chiuse nei momenti di distribuzione pasti e al cambio di ogni turno degli agenti di polizia penitenziaria quando si svolgono le procedure di conta e battitura: vengono contati i presenti e si fa sbattere un oggetto metallico sulle sbarre per verificarne l’integrità.

La macchina organizzativa. Per mandare avanti la struttura sono impiegate circa ottanta persone: una cinquantina di agenti di polizia penitenziaria per coprire tre turni giornalieri, una decina tra amministrazione e contabilità, otto fra medici e infermieri dipendenti dell’Ausl per l’assistenza sanitaria interna (a cui si aggiungono gli specialisti psicologo, psichiatra, dermatologo, infettivologo che intervengono solo con cadenze fissate).

Un conto corrente per ogni carcerato. Chi viene arrestato e portato in carcere viene perquisito e lascia tutti gli effetti personali in custodia, varcando il cancello solo con i propri abiti. Nessuna divisa uguale per tutti: «Cose da film», dice la direttrice. Poi visita medica immediata (una seconda viene fatta entro le 24 ore) e colloquio con uno dei due educatori: «Serve per raccogliere informazioni sulla persona e sulle sue esigenze – spiega De Lorenzo – e al tempo stesso gli viene spiegato il regolamento interno e viene assistito se vuole compilare la domanda per l’attività domestica: per lo più si tratta di attività di manutenzione ordinaria del fabbricato, cucina e pulizie. Mansioni che vengono retribuite». Anche per questo motivo per ogni detenuto viene aperto un conto corrente: «Viene usato per accreditare le retribuzioni dei lavori oppure le famiglie possono versare soldi che servono al detenuto per fare la spesa facendo gli ordini nei giorni stabiliti o pagare le telefonate».

Se telefonando. Il telefono è sempre a disposizione dei detenuti ma ognuno ha una tessera magnetica con il proprio numero di matricola su cui viene caricato il credito e permette di chiamare un solo unico numero per raggiungere un familiare per una chiamata a settimana di al massimo dieci minuti e poi la linea cade. Ogni detenuto ha poi diritto a sei ore di colloquio al mese: «Abbiamo una sala con sette postazioni sorvegliate da un agente. Gli incontri di un’ora vanno prenotati al telefono dall’esterno. Nel periodo estivo abbiamo allestito un piccolo spazio all’aperto con un gazebo. In entrambi i contesti abbiamo anche un piccolo angolo con qualche gioco per i genitori che vogliono incontrare i figli».

 

 

Casa circondariale: pene fino a 5 anni

Il carcere, o istituto penitenziario, nell’ordinamento giuridico italiano, è la sede in cui sono detenuti i condannati ad una pena detentiva (ergastolo, reclusione o arresto), nonché i destinatari di misure cautelari personali coercitive (custodia cautelare in carcere) o di misure precautelari (arresto in flagranza di reato). Si può distinguere tra: casa circondariale (come quella di Ravenna), in cui sono detenute le persone in attesa di giudizio e quelle condannate a pene inferiori ai cinque anni, o con un residuo di pena inferiore ai cinque anni; casa di reclusione, in cui sono detenuti coloro che abbiano riportato una condanna definitivia ad una pena non inferiore ai cinque anni; carcere speciale, in cui sono reclusi i condannati per delitti di criminalità organizzata.

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