«Non siamo ancora fuori dall’epidemia, nella fase 2 manteniamo alta l’attenzione»

La direttrice del dipartimento di Sanità pubblica, Raffaella Angelini: «In provincia i numeri sono bassi perché il virus è arrivato poco prima del lockdown, i cittadini hanno rispettato le regole e forse anche l’Ausl ha tracciato bene i contatti»

Pubblica Assistenza Ravenna 02Chi è stato negli uffici del dipartimento di Sanità pubblica dell’Ausl a Ravenna ha avuto l’impressione di essere in un commissariato dove si indaga su un delitto. Perché le bacheche erano piene di nomi di persone di cui si cercava di ricostruire a ritroso i contatti avuti. Erano i casi diagnosticati di Covid-19 per cui andava ricostruita la catena di potenziali persone contagiate prima dell’insorgere della malattia. A capo del dipartimento c’è Raffaella Angelini che ora vede i frutti del lavoro fatto ma non abbassa la guardia.

Dottoressa Angelini, partiamo dai numeri. Dalla fine di febbraio al 20 maggio in totale in provincia sono stati diagnosticati 1.017 casi, di cui solo una cinquantina nelle ultime tre settimane. Siamo fuori dall’epidemia?
«Le guarigioni complete, quelle attestate da due tamponi negativi consecutivi in 48 ore, sono circa 700. Ma al 19 maggio i casi attivi erano 164, 24 in meno rispetto a lunedì 11 maggio; di questi pazienti 77 sono ricoverati e 87 in isolamento domiciliare, di questi ultimi 46 sono asintomatici e 41 presentano sintomi compatibili con tale regime. Fino a quando ce ne sarà ancora almeno uno di questi non mi sentirà dire che siamo fuori».

Coronavirus OspedaleUn parametro importante è il cosiddetto Rt (da leggere erre con ti): il tasso di contagiosità dopo l’applicazione di misure di contenimento della malattia. Cioè quante persone in media può infettare un ammalato. Che numeri abbiamo in provincia?
«Dal 14 maggio siamo sotto lo 0,5 ma nelle fasi iniziali siamo stati tra 2 e 2,5. Possiamo guardare con ottimismo all’andamento: continuiamo a fare circa duemila tamponi a settimana e i positivi sono molto pochi e sono soggetti che andiamo a cercare attivamente».

Cosa significa?
«A inizio marzo le nuove positività riscontrate erano quelle di persone che stavano male, che avevano sintomi, che si rivolgevano ai medici di base o chiamavano il 118. Oggi invece sono familiari di casi noti che magari non hanno nemmeno sintomi ma andiamo a testare per avere una ulteriore certezza prima di dare il via libera ai guariti».

Coronavirus LaboratorioQuanto dura il decorso della malattia?
«In media quattro settimane. Ma abbiamo casi ancora positivi ai tamponi dopo più di due mesi».

Come si spiega?
«La malattia è ancora troppo nuova per dare risposte. Possiamo fare ipotesi. Il tampone naso-faringeo è l’unico test valido: cerca tracce di Rna virale ma non distingue se si tratta di un virus ancora attivo o solo di un frammento che non è più contagioso. Questo può dipendere anche dal punto della gola in cui viene prelevato il campione. Vale il principio di precauzione e si considera il soggetto ancora positivo. Sappiamo che la precisione del tampone è del 75 percento: uno su quattro può sbagliare».

Ci sono state persone risultate negative e poi di nuovo positive. Si sono riammalati?
«Credo sia più probabile che dipenda da come è stato raccolto il campione naso-faringeo. In parole povere quando il soggetto sta guarendo la carica virale è meno presente e quindi c’è differenza a seconda di dove tocca il tampone e quanto campione raccoglie».

Woman In Face Mask Checking Thermometer 3987152Cosa ha inciso per mantenere la diffusione nel territorio ravennate tutto sommato ridotta e arginata?
«La cosa più determinante è stata l’imposizione del lockdown pochi giorni dopo che il virus aveva cominciato a circolare nelle nostre zone. Poi va riconosciuto che i cittadini sono stati disciplinati e hanno rispettato le regole. E forse anche l’Ausl è stata brava a tracciare i contatti. Non sono tanti quelli che lamentano di essere rimasti inascoltati pur avendo i sintomi».

Ha influito il noto isolamento del territorio, distante dall’asse della via Emilia?
«Non credo. La via Emilia attraversa la provincia e non ci sono variazioni significative in quelle zone. E poi non dimentichiamoci che c’è il porto della regione: non tanto per le navi, quanto per i 1.500 camion che collegano lo scalo alle zone più industrializzate del nord Italia che sono quelle più colpite dal virus».

Come si muove l’ufficio di Igiene pubblica quando viene a conoscenza di un caso sospetto?
«A noi le segnalazioni arrivano dai medici del territorio, dal pronto soccorso o dal singolo cittadino. A quel punto la prima corsa è una intervista telefonica alla persona per capire meglio il quadro epidemiologico e informare la squadra di medici che devono raccogliere il tampone a domicilio. Se l’esito è positivo, il soggetto va in isolamento e si fa una nuova intervista per individuare i possibili contatti a rischio nei 14 giorni precedenti. Vengono contattati e si tengono in osservazione attiva: li chiamiamo tutti i giorni per farci comunicare la temperatura corporea e all’insorgenza del primo sintomo si procede con il tampone avviando una nuova catena in caso di positività».

Coronavirus TamponeCome si sono ammalati i ravennati?
«All’inizio della diffusione del virus hanno pesato le settimane bianche di febbraio e molti casi erano di persone che si spostavano per lavoro fuori provincia, magari in zone emiliane e lombarde. Una volta introdotto il lockdown la diffusione è avvenuta in ambito locale, in contesti chiusi, soprattutto strutture socio-assistenziali, reparti ospedalieri e famiglie».

Rientra tra le cose normali ammalarsi in ospedale?
«Nell’opinione pubblica può non essere così, ma noi che ci lavoriamo sappiamo che gli ospedali sono ambienti a rischio per tante malattie infettive anche prima del Covid. L’ospedale accoglie persone in cattive condizioni di salute che quindi hanno suscettibilità maggiore ad ammalarsi. Questa malattia è arrivata un po’ come uno tsunami».

Le situazioni più delicate sono state una palestra a Ravenna, due case di riposo tra Ravenna e Russi e qualche reparto ospedaliero. Come avete affrontato quei casi?
«Quando uno dei casi emersi proveniva da contesti con elevato rischio non abbiamo aspettato che si presentassero i sintomi e ci contattassero le persone: ci siamo fatti dare gli elenchi delle persone e abbiamo fatto una ricerca attiva».

Tamponi CoronavirusAdesso come si procede con tamponi e test sierologici?
«Il personale sanitario, gli operatori delle case di riposo, gli appartenenti alle forze dell’ordine vengono sottoposti al test sierologico ogni 15 giorni: chi ha gli anticorpi viene sottoposto anche al tampone per capire se è ancora infetto. Poi c’è una sorveglianza speciale sugli anziani nelle Rsa: abbiamo fatto tamponi a tappeto e a parte le due strutture già note, non sono emerse positività da altre parti. Il monitoraggio è continuo e frequente per intercettare il minimo sintomo: se in ospedale arriva un anziano negativo ma con situazioni a rischio andiamo a fare tamponi nella struttura di provenienza. E infine restano i medici di base: febbre con tosse e raffreddore a maggio è uno scenario più facile da individuare essendo fuori da periodo dell’influenza stagionale».

Che estate e che autunno ci aspettano?
«Questo è difficile da dire e non mi spingo a fare previsioni che competono agli epidemiologi. Intanto sarà importante capire come andranno i numeri dei con- tagi a ridosso del 18 maggio, quando saranno passate due settimane dalle prime riaperture della fase 2. E poi un po’ alla volta si allargheranno le apertura con protocolli specifici. Stiamo lavorando per i centri estivi ma è presto per parlarne. L’importante è capire che le riaperture non significano che bisogna smettere di seguire le regole: lavarsi le mani, mantenere la distanza e usare le mascherine resta importantissimo, fondamentale. La riapertura di un bar non va fraintesa con l’abbassamento delle attenzioni, anzi il contrario. Le mani sono il principale veicolo di trasmissione del virus: laviamole spesso e bene».

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