Dolcini in mostra al Mar, la curatrice: «Aveva uno sguardo autentico e consapevole»

Alessandra Dragoni ha curato con Gabriele Pezzi l’esposizione tratta da un archivio di migliaia di immagini del fotografo di Marina di Ravenna: un lavoro di meticolosa ricostruzione durato tre mesi. «Oggi il linguaggio visivo ci pervade, servono nuovi strumenti per decodificarlo»

07.Arrigo DolciniUn padre falegname che le ha trasmesso la passione per la fotografia, un percorso che l’ha portata a lavorare ad Amsterdam, a Milano e a creare a Ravenna lo studio My Camera e a curare diverse esposizioni fotografiche. «La fotografia fa parte della mia vita in maniera invasiva e ossessiva», dice oggi Alessandra Dragoni. È lei, insieme a Gabriele Pezzi, ad aver curato l’esposizione che inaugurerà il 27 aprile al Mar, con protagonista Arrigo Dolcini.

Dolcini, nato nel 1908, a partire dalla fine degli anni ’40, svolge l’attività di fotografo principalmente a Marina di Ravenna in uno studio che è anche negozio di pellicole (Foto Nettuno) e racconta i cambiamenti della località nell’immediato Dopoguerra. La Classense nel 2007 ha acquisito migliaia di immagini che sono state sottoposte all’attenzione di Dragoni: «Ho scoperto l’esistenza della fototeca della biblioteca qualche anno fa, lavorando ad un progetto su Antonioni. Qualcuno deve aver intercettato la mia passione per l’archivio fotografico e così mi è stato illustrato l’archivio Dolcini. Da lì è nato il progetto di farne una mostra che avesse lo scopo di valorizzare e far conoscere il patrimonio della fototeca».

04. Arrigo DolciniDragoni spiega che la passione per la fotografia le è stata passata da suo padre: «Aveva una camera oscura e per circa vent’anni ha fotografato nel tempo libero. Era un bravissimo falegname e ho ereditato da lui il concetto di lavorare divertendosi e anche la mia prima attrezzatura». Negli anni Ottanta «abitavo ad Amsterdam dove lavoravo come archivista in un’agenzia di stampa che distribuiva materiale fotografico a giornali, quotidiani e case editrici mentre studiavo la camera oscura ed il ritratto». In Olanda «la fotografia intesa come arte e ricerca era già molto diffusa e praticata ed ho imparato molto e capito che quella della fotografia sarebbe stata la mia strada». Oggi, «pur considerandomi un’autodidatta posso dire senza falsa modestia di avere una vasta esperienza. Dagli archivi olandesi all’esperienza milanese come fotografa e photoeditor all’Accademia di belle Arti di Ravenna con Guido Guidi; un percorso che comprende più scuole e che mi consente di cimentarmi anche con la fotografia di altri».

Dragoni dice di amare la fotografia «di quello che conosco, ogni volta rivestito da un sentimento diverso: attrazione, timore, curiosità e il caso che gioca sempre un ruolo importante. Amo molto le committenze e sono pronta a cimentarmi nel paesaggio ma prediligo i dettagli ed il ritratto». I progetti personali «possono essere anche diversi tra loro e cambiano con l’andare del tempo: l’esperienza e la vita li influenzano. In questo momento è la memoria il soggetto sul quale rifletto di più con le mie fotografie, e poi ho iniziato anche a fotografare il centro di Ravenna, cosa che mi è sempre risultata difficile, in precedenza».

02. Arrigo DolciniPer scegliere le foto della mostra sono serviti tre mesi di lavoro. Dragoni ha visionato l’intero archivio e parlato con le poche persone rimaste che hanno conosciuto Arrigo Dolcini: «La nipote Laura, figlia del fratello Renato, e Pericle Stoppa sono stati di grandissimo aiuto, fondamentali nel ricostruire la vita e il lavoro di Arrigo». Per quanto riguarda la scelta delle immagini, «ci è voluto molto rigore per selezionare 90 immagini da un gruppo di 12mila. Non è stato semplice ricostruire una carriera da un archivio recuperato per caso in un mercatino dell’usato». Dolcini aveva «una forte inclinazione all’umano. Non aveva velleità autoriali. Nonostate ciò, il suo guardare, ripulito dai doveri delle committenze, è frutto di uno sguardo autentico e consapevole». Insieme alla mostra uscirà un libro edito da Danilo Montanari nel quale Dragoni e Sabrina Ragucci illustreranno la fotografia di Dolcini e di come la si possa paragonare a quella dei maestri a lui contemporanei. Tra i nomi citati quelli di Diane Arbus, August Sander, Garry Winogrand. Al tempo «la fotografia “a portata di mano” era ancora una novità, dove i soggetti si offrono con naturalezza e con un certo ingenuo stupore, e penso sia questa la caratteristica che più mi ha stimolato durante lo studio dell’archivio».

Un tempo lontano rispetto ad oggi in cui il digitale ha reso tutti un po’ fotografi inflazionando il mezzo. Dragoni comunque “assolve” l’epoca contemporanea: «Non credo si possa attribuire alla tecnica o alla tecnologia il modo di intendere la fotografia. In un certo senso trovo positiva questa inflazione. Il linguaggio visivo ci pervade e dobbiamo attrezzarci per decodificarlo. Più persone avranno accesso alla fotografia più diventerà importante studiarla, creare strumenti per comprenderla e comprenderne il fondamentale contribuito alla cultura contemporanea. La fotografia compie quest’anno 180 anni, è giovane e possiamo ancora recuperare per conoscerne la storia».

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