Spadoni, l’ex direttore del Mar: «Mostre necessarie per un museo di provincia»

Per 13 anni alla guida del Museo d’arte che dopo di lui è andato in crisi. Ora dice la sua e rivendica il lavoro fatto insieme ai collaboratori

 

RAVENNA 16/02/2015. MAR, ALLESTIMENTO DELLA MOSTRA "IL BEL PAESE" LÕITALIA DAL RISORGIMENTO ALLA GRANDE GUERRA, DAI MACCHIAIOLI AI FUTURISTIClaudio Spadoni è stato per 13 anni direttore del Mar e poi curatore delle mostre che lo hanno caratterizzato negli ultimi anni, Il Museo è stato ultimamente al centro di numerose polemiche visto che si è trovato in primavera, per la prima volta dopo molti anni, privo di un evento espoitivo di rilievo.

Dottor Claudio Spadoni è da meno di un anno che si è chiusa l’ultima “grande” mostra al Mar (La seduzione dell’antico, ndr) da lei curata ed è avvenuta la sua dipartita come direttore artistico delle attività espositive del museo ma già qualcuno la rimpiange e qualcun altro la ritiene un’esperienza ormai superata… Non si sente coinvolto?
«E perché dovrei? Guardi che quello che ho fatto in una quindicina d’anni è abbondantemente documentato, sia sul piano del profilo  culturale che su quello della corretta gestione, sempre in attivo. Piaccia o no credo sia un bilancio positivo, soprattutto sul piano metodologico, progettuale, artistico».

Però avrà letto le polemiche sui giornali, sul fatto che il Museo è in crisi di identità. Era anche chiuso in alcune festività di primavera perché c’era poco o nulla da esporre, ed è in una fase di transizione che ancora non si sa bene verso dove si diriga. Non vorrà mica fare il convitato di pietra?
«E secondo lei dovrei dare dei consigli? Si figuri, da parte mia non ho mai indicato né un successore del mio lavoro né una linea artistico-culturale da seguire nel futuro… Se cambiano amministratori e dirigenti in Comune sugli affari culturali e la gestione del museo, è giusto che emergano e si mettano alla prova nuovi responsabili e nuovi indirizzi».

Non è che si sente un po’ disoccupato?
«Proprio per niente… Fra consulenze per la curatela di mostre, testi da preparare per libri e cataloghi d’arte, expertise su opere d’arte richieste da enti pubblici e privati, recensioni giornalistiche, sono molto occupato. La responsabilità della direzione artistica del Mar mi assorbiva molto, decisamente, ma oggi non sto certo con le mani in mano».

Dica la verità, però, un po’ il Mar le manca…
«Certo, mi mancano soprattutto il senso della collaborazione, il lavoro di gruppo fatto di diverse competenze che raggiungono assieme un importante risultato, una squadra di persone con cui mi sentivo molto affiatato che si è impegnata con passione per dare valore a un’istituzione, per conquistare una reputazione culturale».
Dato l’inevitabile “vuoto” che si sarebbe creato con la sua uscita di scena, nessuno di quelli che conta, o avrebbe contato di lì a poco, le ha chiesto qualche idea “tampone“? Che so, di porre le basi per una rassegna d’arte di transizione…
«Assolutamente no. In ogni caso, “grande”, “rilevante”, ”importante” o ”piccola” che sia non si può realizzare una mostra dignitosa in poco tempo, senza certe garanzie scientifiche, una progettualità non occasionale…».

Ma almeno l’hanno ringraziata per il lavoro svolto quando se ne è andato?
«Fortunatamente godo ancora di qualche estimatore  per le decine di mostre e di iniziative che ho curato e promosso alla guida del Mar in questo quindicennio. Forse ancor più fuori provincia che in città, magari per quello che già prima avevo fatto altrove. Ma è quanto basta. Sa, nell’epoca della “rottamazione” e del rituale bizantino della damnatio memoriae ci sta anche un certo deficit di riconoscimento».

Entriamo nel merito: l’autorevole assessore comunale alla cultura, Elsa Signorino, ha affermato in consiglio comunale che un museo come il Mar non può vivere solo di mostre temporanee, che deve valorizzare il suo patrimonio, le collezioni permanenti, e in particolare le opere musive. Si sente chiamato in causa, non è che in tutti questi anni si è occupato troppo delle sue “grandi” mostre e poco delle gallerie storiche del Mar?
«Ecco, in questo caso, senza polemica, credo si difetti di memoria anche rispetto a iniziative molto recenti e comunque tutte documentate. Che riguardano il patrimonio antico, moderno e contemporaneo della pinacoteca comunale, con la collaborazione della conservatrice Nadia Ceroni e di Alberta Fabbri. E che sono state declinate in varie forme di valorizzazione fra studi, convegni, promozione, divulgazione e laboratori didattici: da esposizioni riguardanti artisti  delle collezioni, alle ricerche e pubblicazioni documentarie, dai prestiti alle tante acquisizioni che a costo zero hanno notevolmente incrementato il patrimonio, an­che musivo. Inoltre, va sottolineata l’intensa attività svolta negli anni dal Centro di Documen­tazione del Mosaico, nato col Mar: un progetto di respiro internazionale affidato alla curatrice Linda Kniffitz».

Torniamo al tema delle rassegne d’arte, anche perché in prospettiva – si parla del 2018 – sindaco e assessore alla cultura sembra non vogliano rinunciare a “rilevanti” mo­stre temporanee da allestire al Mar…
«Mi fa piacere, credo sia giusto… Un museo di provincia, per quanto valorizzi il  proprio patrimonio non riesce a richiamare un certo flusso di visitatori, soprattutto in prospettiva di un qualificato turismo culturale, come si auspica a Ravenna. Anche istituzioni di ben altro richiamo, come gli Uffizi, per dire, propongono attività espositive per essere ancor più “appetibili”. Credo che la questione da affrontare sia un progetto  originale, se non esclusivo, possibilmente pluriennale, che però implica tempi di realizzazione – fra ideazione, verifica della disponibilità delle opere, richiesta di prestiti a musei e privati, cura del catalogo, e tutte le altre pratiche – di circa due anni per ogni rassegna. Una delle più impegnative mostre che ho curato, dedicata a Roberto Longhi, il più geniale storico del secolo scorso, molto apprezzata sia dal pubblico che dalla critica più qualificata, ha richiesto oltre tre anni di lavoro. Quindi il 2018, per quanto ri­guarda la mia esperienza, mi sembra una data molto vicina».

Teme forse che il Mar possa offrire al pubblico dei “pacchetti espositivi” preconfezionati sulla scorta del modello Goldin? Pezzi d’arte di grande richiamo “pret a porter”?
«Sinceramente non mi interessa valutare questa eventualità. È un modo di concepire la divulgazione dell’arte che non mi appartiene. Marco Goldin è un abilissimo imprenditore di mostre monstre, soprattutto degli impressionisti, espertissimo di marketing, attira molto pubblico, sa fare bene il suo lavoro, ma richiede cospicui investimenti. Poi bisognerebbe ponderare bene cosa lasciano in eredità i suoi eventi espositivi in quel museo e in quel territorio, in termini culturali, sociali e anche economici. Recentemente si sono affacciate in questo campo alcune organizzazioni in grado di fornire agevolmente rassegne di notevole attrazione, già confezionate in ogni dettaglio e che passano in diverse città. Tutte imprese rispettabili, ma dipende dall’obiettivo del committente pubblico. Il rischio secondo me è duplice: innanzitutto non è sempre garantita la qualità culturale e scientifica dell’esposizione, e non è sempre detto che ci sia una convenienza economica, nonostante, magari, il buon flusso dei visitatori…».

Un’ultima domanda: cosa ne pensa dell’accentramento delle decisioni politico-amministrative e di gestione delle istituzioni e attività culturali in un unico dirigente (si tratta di Maurizio Tarantino, nominato recentemente dopo una selezione tramite bando pubblico, ndr)?
«Non mi occupo di certa ingegneria politica e amministrativa. Penso, semplicemente, che ogni istituzione culturale che si rispetti  dovrebbe avere un responsabile specifico, di comprovata competenza  ed esperienza, e  possibilmente, animato da autentica passione. Il requisito che ho sempre considerato primario nei miei – un tempo giovanissimi – collaboratori».

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