Anche l’essenza degli alberi nella “foresta sacra” di Giorgia Severi

In mostra a Faenza, a Santa Maria dell’Angelo fino all’8 gennaio, tele, calchi, frottage nati durante una residenza artistica a Camaldoli

Sacred Forest Giorgia Severi

La mostra Sacred Forest, allestita a Faenza nello spazio espositivo di Santa Maria dell’Angelo, presenta in sagrestia le opere di Giorgia Severi. Si tratta di tele, calchi, frottage e fotografie nati a Camaldoli durante una residenza dell’artista, invitata a lavorare a stretto contatto con la foresta camaldolese. Il frutto di questa esplorazione è stato esposto una prima volta la scorsa estate nel Monastero di Calmaldoli e una seconda volta nella mostra attuale di Faenza, sempre a cura di Giovanni Gardini.

In catalogo si racconta il progetto: indagare la storica foresta del monastero mantenendone la complessità dei valori, da quello botanico di un habitat di grande interesse che attrae per la bellezza a quello spirituale di un luogo che ha ispirato generazioni di monaci e di persone attratte dalla spiritualità e dalla possibilità di un ristoro interiore. La scelta dell’affidamento di un progetto del genere non poteva che coinvolgere Giorgia Severi, un’artista che da anni ha concentrato l’attenzione sugli ecosistemi, sulla fragilità e l’impermanenza di boschi, alberi, habitat.

L’artista realizza calchi, fotografie, disegni, frottage ma anche ricami e sculture ricavati durante spedizioni e residenze che l’hanno portata in vari paesi del mondo, in Australia, Grecia, Marocco, Nepal, India, Tibet, Canarie. In questi luoghi Severi ha osservato e registrato in modo puntuale e ricco di pietas ambienti minacciati: per questo prende i calchi di cortecce di alberi, mappa i resti dei ghiacciai, ricalca con matita e pastelli le specie arboree che via via soccombono.

Sacred Forest Opera SeveriIl lavoro può verosimilmente attingere alla Land art e Arte povera fino alle esperienze sciamaniche di Beuys, artista a cui Severi è vicina per il tipo di sensibilità e per il coinvolgimento fisico che il lavoro impone in zone difficili da raggiungere, per il tempo impiegato nell’esecuzione, per la pazienza necessaria e il silenzioso rispetto che queste opere impongono. La denuncia che sottostà ad ognuno di questi lavori illumina in questo modo gli effetti del surriscaldamento globale o della diminuzione delle varietà delle specie a causa degli effetti dei fenomeni di antropizzazione e globalizzazione.

A Camaldoli l’artista è rimasta fedele a questa essenza fortemente etica del proprio lavoro che nonostante tutto ha sempre compreso una forte attrazione verso la bellezza della natura. Nel caso di questo specifico progetto, la residenza ha comportato non solo l’esplorazione del bosco ma anche un confronto diretto con la forte spiritualità della comunità camaldolese che ha una storia strettamente intrecciata alla foresta. Il primo passo è stato la rilettura della Regola eremitica camaldolese, in particolare il confronto con un passo scritto sulla base delle parole del profeta Isaia. Sette alberi – ovvero cedro, acacia, mirto, ulivo, abete, olmo e bosso – vengono nella Regola riletti come i simboli delle virtù che ogni monaco, ma per estensione ogni persona, cerca di raggiungere e praticare nel corso della vita.

Sacred Forest Giorgia Severi

L’artista Giorgia Severi al lavoro nella foresta di Camaldoli

Come nella recente serie Ghost Landscape – iniziata nel 2016 durante una residenza in Australia e presentata quest’anno in due mostre a Ravenna – alcuni disegni a frottage così come alcuni calchi a ceramica di Severi condensano l’impressione dell’ambiguità fra presenza- assenza in cui la prima è testimoniata dalle specie di alberi esistenti. Il lavoro testimonia anche le assenze: tre grandi tele monocrome e bidimensionali – ottenute grazie ai succhi di radici, foglie o bacche di olmo, ulivo e mirto – sostituiscono alberi che non esistono nella fo- resta di Camaldoli ma sono citati nella regola eremitica. Severi sfrutta l’essenza degli alberi mancanti per tingere le tele realizzando alcune bellissime immagini, quasi sacrali nella loro luminiscenza che prende toni variabili dell’oro, del verde, del rosa.

Il lavoro così condotto si costruisce per sottrazione – in quanto Severi opera sulla sintesi del tema – ma anche si basa sull’assenza visto che si tratta di alberi che non si trovano nella foresta. Il procedimento e gli effetti monocromi di queste tele, come ricorda il curatore, sembrano omaggi alla pittura concettuale di Ettore Spalletti, artista italiano recentemente scomparso e maestro riconosciuto di una poetica orchestrata sull’assenza e sul silenzio. Ma la pittura di Severi apre anche a una dimensione sacrale quasi primaria che si riallaccia alla motivazioni più profonde del lavoro di Mark Rothko, pur distinguendosi dal grandissimo statunitense per una scala di emozioni più contenuta, meno drammatica e vibrata.

In mostra a Faenza sono infine alcune opere realizzate in tecnica mista a frottage e fotografia: le stampe a colori e in bianco e nero su alluminio bordano i rilevanti interventi a frottage. Dalla tela emergono i segni della corteccia rilevati dall’artista come meditazioni sospese su una registrazione verosimile dell’insieme. Linee frammentarie, arabeschi, segni, diventano le vivide parole di un silenzioso bosco secolare.

“Sacred Forest, opere di Giorgia Severi”. Fino all’8 gennaio. Spazio espositivo Chiesa di Santa Maria dell’Angelo (via Santa Maria dell’Angelo), Faenza. Orari di apertura: gio-ven 16-18.30; sab-dom 10-12.30; 16-18.30.

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