A Faenza la rinascita della pinacoteca municipale. Ecco come si presenta

Riaperte le sale del museo nell’ex Collegio dei Gesuiti, dopo il rinnovo degli allestimenti e del percorso espositivo. Ma resta una certa carenza di spazi per le collezioni

Pinacoteca Faenza Sala

La recente riapertura della pinacoteca di Faenza, rinnovata nell’allestimento e nel percorso espositivo, è un evento memorabile per chi ama l’arte e il patrimonio culturale: il tempismo e un’efficace cultura resiliente hanno sfruttato la chiusura dovuta al Covid per eseguire l’intervento. La pausa epidemica ha permesso di reperire risorse e pensare al riallestimento che è stato eseguito dallo Studio Lucchi e Biserni in collaborazione con la dirigente della cultura Benedetta Diamanti.
L’esito risulta encomiabile per aver saputo fruttare una situazione negativa ma è anche da considerarsi un dovuto atto riparativo a una lunga storia di abbandono, denunciata per vari decenni dai responsabili del museo faentino.

Facendo un passo indietro occorre ricordare che la sede attuale del museo si trova nell’ex Collegio gesuitico annesso alla chiesa di Santa Maria dell’Angelo, aperta alla metà del ‘600. Nel periodo postunitario, soppresso l’ordine, nell’edificio viene collocato il Liceo Classico che convive con la scuola di disegno comunale attiva fin dalla fine del ‘700. Le opere d’arte – utilizzate come modelli di studio per gli studenti – vengono raccolte grazie alle donazioni dei cittadini e le requisizioni di epoca napoleonica.
La pinacoteca può dirsi aperta grazie al primo responsabile Federico Argnani che propone il primo riordinamento espositivo e continua l’azione di raccolta e acquisto di opere.

In seguito, vari interventi nel primo ‘900 depauperano il museo che subisce spostamenti scriteriati di opere e una sostanziale riduzione della quadreria, mantenendo il problema aperto della convivenza del museo con l’istituto liceale. Nonostante lo sforzo dei responsabili delle raccolte e gli studi di Corbara per la Soprintendenza che rilevano la pecularietà e l’interesse culturale del patrimonio faentino, nel 1981 la galleria di arte moderna viene chiusa per infiltrazioni di acqua nell’edificio. Si attende la riapertura ma sette anni dopo il resposabile Sauro Casadei deve annunciare la chiusura anche della parte antica per procedere ad una ristrutturazione completa dell’edificio. Occorre attendere altri 17 anni per la riapertura dell museo: nel 2005 il nuovo direttore Claudio Casadio inaugura le sale espositive e annuncia come prossima la realizzazione del progetto comunale sul centro storico (2003) che prevede la riunificazione di tutti gli spazi museali e delle raccolte.

Dopo l’ennesima chiusura per il biennio Covid – quella che ha permesso l’attuale riallestimento del 2022 – il progetto di riunificazione annunciato è ancora in parte lettera morta: si attende ancora dopo 20 anni il trasloco della sede liceale, da considerarsi come il passo necessario per garantire non solo lo spazio fisico per le raccolte – cresciute grazie a ulteriori importanti donazioni – ma anche per evitare la promiscuità di funzioni che si oppongono alla sicurezza, alla conservazione, alla fruizione e normale attività espositiva di un museo moderno.

Pinacoteca Faenza EsternoDetto questo, il nuovo progetto espositivo del museo – poi di nuovo chiuso per interventi di conservazione su alcune opere, fino alla riapertura nei primi giorni di marzo – ha sicuramente molti pregi, uno fra tutti la vicinanza alla chiesa di Santa Maria dell’Angelo – lo spazio gestito dal Museo diocesano e utilizzato per mostre di arte contemporanea a cura di Giovanni Gardini – che assicura una complementarietà funzionale delle due identità museali.

Ma veniamo al riallestimento: l’accesso sulla strada alla sede del museo civico si apre con una saletta di raccordo alle scale. Qui e lungo i primi gradini si trova collocato il lapidarium con sculture di epoca bizantina e romanica, ciascuna corredata da essenziali targhette informative e un Qr-code che permette di approfondire collegandosi a schede più ampie. Opposta all’accesso si trova uno spazio in cui è esposta la Cassandra in gesso di Ercole Drei, un’opera ben scelta per rappresentare una delle anime di Faenza di primo ‘900 e della storia del Cenacolo baccariniano, collocata però sotto vetro e quasi invisibile a causa dei riflessi della luce dell’entrata.

Salite le scale, a sinistra sono disposte due salette dedicate alla bella collezione Vallunga, provenienti da una importante donazione del 2010 che hanno portato al museo una trentina di opere fra cui De Chirico, Morandi, Savinio, Carrà, Campigli e Sironi. La sala non presenta modifiche rispetto a prima e conferma l’assoluta congruità della donazione e delle ottime scelte collezionistiche. Rimane non risolto il forte contrasto col salone adiacente, dove un tempo erano collocate le opere dell’Otto e Novecento, ora sostituite da opere antiche, dal Medioevo al primo ‘500. Mentre la vecchia disposizione costringeva a un percorso anomalo e cronologicamente inverso, ora si contrappongono due monadi opposte da un forte salto temporale, probabilmente superabile solo grazie all’acquisizione dei nuovi spazi promessi.

Nonostante ciò, il nuovo salone è splendido e le opere presenti – da Giovanni da Rimini a Biagio d’Antonio e Palmezzano – acquistano una rinnovata visibilità grazie al tono di fondo delle pareti del nuovo allestimento, in cui si evita un apparato didascalico corposo per rimandare a un testo generale introduttivo e al Qr-code delle singole opere. Ottima la decisione di spaziare le opere mantenendo un dialogo fra loro e di collocare in alto il crocefisso proveniente dalla chiesa distrutta di Santa Chiara di Faenza in modo da restituire il punto di osservazione originario. Pur con qualche incongruità, la linea storica della pittura giottesca prosegue temporalmente col dialogo fra l’area faentina e Firenze, esaltato dalla collocazione al centro della statua lignea di San Girolamo attribuita a Donatello, poi con l’area ferrarese. A parete sfilano opere importanti del Rinascimento di cui, per alcune – un Cristo portacroce del Palmezzano, una tempera del maestro della Pala Bertoni, la Pala di Pergola di Biagio d’Antonio, due opere di Giovanni Battista Bertucci il vecchio – sono appena iniziati i lavori di restauro. Si tratta di interventi assolutamente non rimandabili che probabilmente giungono anche grazie al focus sulla pinacoteca che il nuovo allestimento ha lanciato.

Pinacoteca Faenza PubblicoLa presenza nel salone di opere di grande formato del primo ‘500 anticipano la successiva sala, dedicata in modo omogeneo al faentino Bertucci senior che raccoglie opere di medio e grande formato. Al contrario, appare ancora non risolto lo spazio di snodo al piano superiore: sia a livello inferiore che superiore, le statue, i dipinti e i bassorilievi devozionali qui collocati soffrono per l’ingombro delle scale e la funzione spaziale di passaggio.

Del tutto intatta la sala Manfredi al piano superiore, che si concentra cronologicamente su opere e arredi del periodo dei signori faentini: da questo spazio cieco si ritorna a una sala dedicata alla pittura del ‘500 che prosegue temporalmente la linea aperta nello spazio sottostante. Purtroppo il problema della carenza spaziale permette qui solo un’unità cronologica, ricca di fatto di salti stilistici: l’opera giovanile di Luca Longhi, attualmente in restauro, può dialogare con i Francia ma non con Dosso Dossi e altre opere vicine. Il problema rimanda a una maggiore ponderazione dei prossimi interventi, sempre che gli spazi lo permettano.

Altrettanto difficile è – e sarà – mettere mano al salone delle pale d’altare che vede qui radunate opere di grandi dimensioni a destinazione sacra illuminate in modo non adeguato. Non potendo intervenire su un auspicabile distanziamento delle opere – collocate come in altri musei similari in spazi con soffitti alti e superfici ampie – si segnala però il pessimo stato conservativo di molte di queste: fessurazioni e cedimenti testimoniano la storia di un abbandono di troppi decenni. Si spera che il restauro in atto – che coinvolge al momento solo sei opere – sia il primo di una serie rivolta anche ad altre opere di pregio.

Proseguendo la visita, la sala successiva del Magistrato raccoglie di nuovo secondo un criterio cronologico opere principalmente del ‘600, fra cui alcuni ritratti e la bellissima Giuditta e Oloferne di Francesco Maffei. Il recente intervento monocromo sulle pareti valorizza i pezzi presenti senza però giustificare la disposizione in doppio ordine di numerose opere, disposte come ai tempi di un’antica quadreria e illuminate malamente. Anche questo sarà un intervento da considerare per giungere a criteri espositivi adeguati.

La carenza di spazio che interviene negativamente in questa sala come nelle precedenti pesa anche nella lunga sala del vestibolo dove sono esposte opere dal Sette al Novecento. Risulta difficile trovare un filo conduttore fra le nature morte settecentesche del Resani opposte a una testa di Rodin, fra i dipinti sacri di Bigari e la vicina Bitta di Baccarini, opere distanti fra loro di secoli: si tratta di un ping pong cronologico che prosegue per tutto il vestibolo, confermato in chiusura dal bellissimo gruppo cinquecentesco in terracotta di Alfonso Lombardi, collocato qui fin dalla nascita della pinacoteca e quasi inamovibile per la delicatezza dell’intervento.
Termina la visita l’ultima sala – dedicata al circolo di Baccarini – che si presenta ben allestita con opere perfettamente in dialogo.

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